Nella visione strategica di Donald Trump, la politica commerciale non è semplicemente una questione di dazi o di importazioni: è una questione di sovranità nazionale. Con l’ondata di tariffe introdotte nel 2025, il presidente cerca di trasformare la posizione degli Stati Uniti nel commercio globale, passando da un ruolo di "cliente passivo" a quello di protagonista negoziale capace di imporre condizioni e indirizzare le dinamiche multilaterali a proprio vantaggio. Le nuove tariffe hanno riguardato 92 Paesi, con aliquote differenziate dal 10% al 100%, colpendo settori strategici come i chip, i farmaci e le auto. L’obiettivo dichiarato è, da un lato ridurre i deficit commerciali bilaterali con i principali partner, dall’altro costringerli a sedersi al tavolo per ridefinire le regole del gioco. Come spiegato nel fact sheet ufficiale della Casa Bianca del 31 luglio, i nuovi accordi mirano a ristabilire il principio di reciprocità: “se un Paese impone barriere ai nostri prodotti, non può pretendere accesso libero al nostro mercato”. In pochi mesi, l’amministrazione ha già annunciato memorandum d’intesa con Giappone, UE, Regno Unito, Corea e Vietnam, in cui si prevedono reciproche concessioni: l’America apre ad alcuni beni, ma in cambio ottiene garanzie su investimenti e forniture energetiche. Solo dall’Europa si prevede un afflusso di oltre 750 miliardi di dollari, di cui 600 solo nel settore energetico. Questa strategia ha rafforzato la posizione geopolitica USA, rendendo l’export di gas e tecnologia americana un’arma negoziale. Secondo “Bloomberg”, il commercio globale si sta già riconfigurando: “i dazi americani stanno ridefinendo le supply chain e costringendo molte economie avanzate a ripensare le loro strategie commerciali, spesso orientandosi verso accordi preferenziali con Washington”. Il principio ispiratore non è il protezionismo cieco, ma quello che Trump chiama "realismo competitivo": trattare da pari a pari, senza più concedere condizioni unilaterali a economie emergenti come la Cina, che – secondo la Casa Bianca – ha sfruttato per anni regole WTO pensate per Paesi in via di sviluppo pur essendo una potenza industriale. Anche sul piano interno, la mossa rafforza la narrativa di un’America che riprende il controllo: “non lasceremo che le multinazionali e le lobby della globalizzazione decidano chi produce cosa e dove”, ha dichiarato il presidente, promettendo incentivi per le aziende che producono sul territorio nazionale e penalizzazioni per chi delocalizza. Va riconosciuto inoltre che, al di là della retorica, molti dei partner coinvolti non hanno reagito con contromisure ostili, ma hanno cercato il dialogo. Secondo “CNN”, alcuni Paesi (inclusi Canada e India) hanno già avviato negoziati tecnici per ottenere esenzioni settoriali, mentre il blocco europeo ha accettato una moratoria di sei mesi sulle controtariffe. In un’economia dove il commercio globale è sempre più legato a temi strategici, la politica dei dazi può essere letta come una leva di potere. Per Trump, i dazi sono una moneta di scambio per ottenere sicurezza, alleanze economiche e indipendenza energetica. E, nel breve periodo, sembrano funzionare.
Nina Celli, 8 agosto 2025