Nonostante la loro attrattiva economica, le mostre immersive rappresentano una minaccia strutturale all’identità e alla funzione dei musei pubblici. Inseguendo il successo commerciale, si rischia di stravolgere la missione educativa e scientifica delle istituzioni culturali, trasformandole in semplici contenitori di esperienze spettacolari. Secondo Live Drønen, in un’inchiesta sulla scena espositiva norvegese pubblicata su “Texte zur Kunst”, il successo delle mostre immersive coincide con un processo di “managerializzazione del museo”, dove il valore simbolico viene sostituito da quello economico. “Non conta più cosa si espone, ma quanti visitatori si attirano. Il museo diventa teatro del consumo culturale, non più luogo di ricerca o riflessione”. Questo cambiamento si riflette anche sulle professionalità coinvolte: i curatori lasciano spazio a designer dell’esperienza, le mostre si strutturano secondo logiche di mercato e la narrazione viene progettata per massimizzare l’engagement, non la comprensione. Il rischio più grave è l’erosione del valore pubblico dell’arte. Quando le opere diventano solo sfondo per “selfie emozionali” o percorsi guidati da musiche epiche e proiezioni spettacolari, si perde la complessità storica, politica, sociale del patrimonio. Si crea un divario tra successo economico e impoverimento culturale. Davide Pugnana lo definisce “un corto circuito simbolico”, dove il museo perde autorevolezza: “Siamo passati dal museo come luogo di sapere al museo come luna park. Le mostre immersive sono l’apoteosi di questo slittamento: estetica senza contenuto, spettacolo senza pensiero”. Anche Simona Rinaldi, nel suo volume Le mostre d’arte (Carocci, 2025), avverte sul rischio di confusione tra funzione educativa e logica blockbuster, che può condurre a uno svuotamento del ruolo sociale del museo, ridotto a centro commerciale culturale. Le mostre immersive sono sì redditizie, ma spesso incompatibili con la vocazione critica, educativa e conservativa del museo pubblico. Ma il profitto non può diventare il criterio principale della cultura.
Nina Celli, 7 agosto 2025