Negli ultimi anni, le mostre immersive sono diventate un potente strumento per ampliare l’accesso all’arte, avvicinando nuovi pubblici attraverso esperienze sensoriali e coinvolgenti. A differenza dei tradizionali percorsi museali, spesso percepiti come distanti, elitari o intimidatori da molti visitatori occasionali, le installazioni immersive trasformano l’opera in un ambiente esperibile, vivibile, attraversabile, favorendo una relazione empatica tra spettatore e contenuto. In questo senso, Vincenzo Capalbo definisce le mostre immersive “porte d’accesso all’arte”, capaci di stimolare curiosità e meraviglia: “Non intendono sostituire i musei o le opere originali, ma offrire un linguaggio visivo alternativo, accessibile e coinvolgente”. Il punto di forza delle mostre immersive risiede proprio nella rottura del filtro culturale, quel codice implicito che spesso separa il “pubblico generalista” dall’arte accademica. Lontane dall’ossessione per l’aura dell’originale, queste esperienze si muovono su un terreno narrativo ed emozionale, talvolta ibrido, che intreccia estetica, tecnologia e storytelling. Lo confermano anche i dati dello studio pubblicato su “Scientific Reports”, secondo cui l’integrazione tra AI, realtà virtuale e interazione sensoriale ha incrementato del 24% la soddisfazione del pubblico museale, con un +58% di permanenza nelle sale e un -72% di congestione fisica. In un’epoca in cui l’attenzione è frazionata, l’arte immersiva offre un aggancio forte, immediato, emozionale. Come osserva Elisa Bonacini, il museo contemporaneo sta evolvendo verso un modello “connettivo ed empatico”, dove lo spettatore è non solo fruitore, ma anche co-creatore di senso. Lo storytelling digitale, afferma, “suscita emozione, costruisce identità, favorisce relazioni”. Sul piano educativo, la realtà virtuale si è dimostrata efficace anche nella trasmissione culturale e nell’apprendimento creativo, come dimostra l’analisi di Albert L. Lehrman (2025) che documenta come la cognizione incarnata nelle esperienze VR favorisca l’esplorazione e il problem solving artistico. La democratizzazione non è, quindi, solo quantitativa (più visitatori), ma qualitativa: nuovi modi di “sentire” l’arte diventano legittimi e complementari, senza per forza sostituire i canoni storici. La bellezza emozionale può essere una soglia, non una fine.
Nina Celli, 7 agosto 2025