La principale critica rivolta al One Big Beautiful Bill riguarda la sua sostenibilità fiscale. Pur proponendosi come una manovra espansiva, volta a stimolare crescita e investimenti, il disegno di legge è stato duramente contestato per le sue proiezioni di impatto sul deficit e sul debito pubblico, che secondo le stime più prudenziali ammonterebbero ad almeno 2,4 trilioni di dollari in dieci anni, ma che altre analisi – inclusa quella del Congressional Budget Office – fanno salire fino a 3,3 o persino 3,8 trilioni nel medesimo periodo. La cifra netta varia a seconda degli scenari assunti, ma il consenso tra gli economisti è pressoché unanime nel considerare il saldo profondamente negativo. Il cuore del problema risiede nell’asimmetria tra i tagli fiscali permanenti e i tagli alla spesa che, invece, sono parziali, selettivi e difficilmente applicabili nella loro totalità. Come ha evidenziato William G. Gale in un'analisi pubblicata da “Brookings”, i benefici di breve periodo sul PIL sono trascurabili – inferiori allo 0,1% annuo secondo alcuni modelli – mentre i costi di lungo termine si accumulano senza che vi sia una strategia di compensazione efficace. In particolare, la scelta di rendere permanenti i tagli fiscali per le imprese e le famiglie ad alto reddito, senza contropartite sufficienti in termini di riduzione della spesa obbligatoria, costituisce secondo molti un errore strutturale. Il “Wall Street Journal” ha dato voce alla preoccupazione dei mercati, notando che l’indice del dollaro ha perso l’11% nel primo semestre del 2025, con il rischio concreto che il trend prosegua fino a una svalutazione del 30–35%. Ciò è direttamente collegato alla percezione di instabilità fiscale e perdita di credibilità degli Stati Uniti come emittenti di debito sovrano. I Treasury bond, un tempo considerati rifugi sicuri per gli investitori globali, iniziano a essere trattati con maggiore cautela, proprio a causa dell’assenza di un piano coerente di rientro dal disavanzo. Anche il rischio di innescare una crisi di fiducia sulla solvibilità statale non è più un’ipotesi marginale. Il costo annuale per interessi sul debito ha già superato il trilione di dollari, come sottolineato dal “New York Times”, e l’aumento della spesa militare e delle politiche migratorie – inseriti nel disegno di legge senza coperture credibili – contribuisce a rendere il mix fiscale ancora più sbilanciato. Il tentativo di ridurre il deficit attraverso tagli a programmi sociali come Medicaid e SNAP appare insufficiente e, secondo alcune stime, politicamente insostenibile. Il Center on Budget and Policy Priorities ha pubblicato più rapporti in cui evidenzia che, anche ipotizzando un’applicazione integrale dei tagli alla spesa previsti, il saldo netto del provvedimento rimane fortemente passivo. Inoltre, la legge non introduce riforme strutturali che affrontino le vere cause dell’insostenibilità del bilancio federale, come la spesa previdenziale, il sistema sanitario per gli anziani (Medicare) o la riforma delle spese fiscali più regressive. Dal punto di vista politico, il rischio è duplice: da un lato si compromette la possibilità futura di attuare manovre anticicliche nei momenti di crisi; dall’altro si espone il Paese al rischio di downgrading da parte delle agenzie di rating, con effetti immediati sul costo del capitale, sui mutui, sulle imprese e sui consumatori. L’euforia politica per l’approvazione di un grande pacchetto fiscale potrebbe presto lasciare spazio alle conseguenze di una crisi di bilancio, le cui ripercussioni si estenderebbero ben oltre le dinamiche di Washington. Il One Big Beautiful BillAct appare, per molti analisti, come un esempio da manuale di politica fiscale irresponsabile: tagli duraturi alle entrate, aumenti discrezionali della spesa e una fiducia eccessiva nella crescita come panacea. Una scommessa ad alto rischio, che mette in discussione non solo l’equilibrio dei conti pubblici, ma anche la stabilità macroeconomica e la leadership finanziaria globale degli Stati Uniti.
Nina Celli, 3 luglio 2025