In un contesto internazionale sempre più caratterizzato da conflitti ibridi, guerre di logoramento e confronti geopolitici a lungo termine, le sanzioni economiche emergono come una delle poche strategie che permettono agli Stati democratici di preservare la loro coerenza interna e, al tempo stesso, di esercitare pressione su potenze ostili. Questa capacità di “fare la guerra senza armi” si rivela particolarmente cruciale per le democrazie europee e nordamericane, dove il ricorso alla forza militare è spesso osteggiato da vincoli etici, giuridici e parlamentari. A differenza dell’intervento militare, che implica immediatamente l’uso della forza, il rischio di perdite umane e una potenziale escalation nucleare (specie nel caso di potenze come la Russia), le sanzioni offrono un’alternativa sostenibile e scalabile. Lo ha affermato chiaramente anche il Cato Institute in uno studio pubblicato nel giugno 2025: secondo i sondaggi, solo il 16% della popolazione americana è favorevole a un intervento militare diretto in Medio Oriente o Europa Orientale. La maggioranza preferisce strumenti meno invasivi come la diplomazia, la cyber-guerra o, appunto, le sanzioni economiche. Nel caso della guerra in Ucraina, le sanzioni hanno permesso a Paesi come Germania, Francia, Regno Unito e Italia di restare attivamente coinvolti nel conflitto senza dover impiegare truppe di terra, mantenendo così un consenso politico interno molto più solido. Come ha dichiarato il presidente del Consiglio Europeo Antonio Costa, “continuiamo a esercitare pressioni sulla Russia”, nonostante le difficoltà legate alla crisi energetica e all’inflazione. Questo tipo di resilienza democratica, fondata su strumenti economici e multilaterali, si traduce in un sostegno strategico di lungo termine, che sarebbe molto più difficile da garantire con un’escalation militare. Inoltre, le sanzioni non sono statiche ma dinamiche e adattabili. Il caso dei 17 pacchetti sanzionatori europei adottati fino a giugno 2025 dimostra la capacità dell’UE di reagire a cambiamenti sul campo, rafforzare i controlli sulle triangolazioni (come evidenziato da ISPI) e colpire settori sempre più specifici: dalla tecnologia ai beni dual-use, dalla finanza alle esportazioni energetiche. Questo livello di flessibilità è difficilmente replicabile in una strategia puramente militare, che comporta costi esponenziali e una logica binaria (guerra o pace). Anche sotto il profilo etico, le sanzioni si configurano come una risposta proporzionata e mirata, in contrasto con la logica dei bombardamenti o delle operazioni armate. L’articolo del “Foglio” sul logoramento strategico della Russia sottolinea come, grazie alle restrizioni commerciali e alla pressione tecnologica, Mosca abbia visto ridursi la propria flotta strategica e debba ora impiegare le poche risorse disponibili in maniera forzata, con stress crescente sulla logistica militare. Tutto questo è avvenuto senza un solo missile lanciato dall’Occidente. Ma l’impatto positivo delle sanzioni sul mantenimento dell’ordine multilaterale è evidente anche nel contesto delle Nazioni Unite. Come emerso nel memorandum russo analizzato da “AGI”, Mosca chiede esplicitamente la revoca delle sanzioni per poter firmare un trattato di pace. Questo dimostra che le sanzioni non sono un elemento accessorio, ma una delle condizioni più rilevanti che orientano le scelte diplomatiche e il bilanciamento del potere globale. Le sanzioni economiche, dunque, costituiscono una forma avanzata di deterrenza democratica, che permette di contrastare l’aggressione armata mantenendo la coerenza etica, la tenuta delle alleanze e la sostenibilità politica interna. In un mondo dove le guerre diventano sempre più permanenti e asimmetriche, esse rappresentano un ponte tra l’inazione e la guerra, capace di proteggere valori, istituzioni e civili senza precipitare il mondo in un nuovo conflitto mondiale.
Nina Celli, 2 luglio 2025