Le sanzioni economiche, oltre a colpire direttamente l’economia di uno Stato aggressore, generano un effetto indiretto ma non meno rilevante: l’isolamento diplomatico e il progressivo indebolimento delle sue alleanze strategiche. In questo senso, le sanzioni diventano uno strumento non solo punitivo, ma anche trasformativo, capace di erodere il capitale politico di un regime ostile e limitarne l’influenza nel sistema internazionale. Un esempio emblematico emerge dal memorandum russo analizzato da “AGI”: Mosca chiede esplicitamente la revoca di tutte le sanzioni ucraine e russe come condizione necessaria per firmare qualsiasi accordo di pace. Questo elemento sottolinea chiaramente il potere negoziale che le sanzioni conferiscono alla parte che le impone: la loro sospensione può diventare merce di scambio, rendendo le sanzioni una leva diplomatica a tutti gli effetti. Secondo Brookings Institute, il ricorso sempre più strutturato alla cosiddetta “economic statecraft” [diplomazia economica] permette agli Stati Uniti e ai partner europei di perseguire obiettivi strategici comuni senza la necessità di interventi armati, mantenendo la coesione interna e il sostegno dell’opinione pubblica. Questo è particolarmente rilevante nei contesti democratici, dove l’uso della forza militare è sottoposto a forti vincoli etici, politici e parlamentari. Nel contesto europeo, il presidente del Consiglio Europeo Antonio Costa ha confermato che “abbiamo adottato 17 pacchetti di sanzioni e stiamo lavorando per implementarli ulteriormente”. Questi pacchetti non sono solo misure economiche, ma anche strumenti di coordinamento tra Stati membri, che rafforzano la visione comune della minaccia e stimolano l’integaACrazione politica e strategica. Le sanzioni, quindi, hanno anche l’effetto di rinsaldare le alleanze. Come evidenziato dal report di “Startmag”, Francia, Germania e Regno Unito hanno risposto al disimpegno americano con un’espansione autonoma dei loro budget per la difesa e con una strategia congiunta di pressione su Mosca. L’adozione di pacchetti sanzionatori condivisi ha anche consolidato il concetto di autonomia strategica europea, un processo che, pur nella sua complessità, si è accelerato proprio grazie al contesto sanzionatorio. Oltre a rafforzare le alleanze, le sanzioni disincentivano altri potenziali aggressori, creando un precedente visibile e misurabile. Secondo l’analisi de “Il Foglio”, la minaccia di un logoramento economico costante è uno dei fattori che può dissuadere altri attori (come la Cina o l’Iran) dal lanciarsi in operazioni militari unilaterali, consapevoli dell’effetto domino che le sanzioni multilaterali comporterebbero su commercio, finanza e tecnologia. Non va sottovalutato l’impatto delle sanzioni sull’opinione pubblica interna del paese colpito. La Banca Centrale russa ha mantenuto tassi d’interesse al 21% per controllare un’inflazione oltre il 10%, mentre la previsione è di una contrazione della crescita dal 4% al 1,5% nel 2025. Questi dati si traducono in una pressione costante su famiglie, imprese e istituzioni, alimentando un malcontento sociale che, pur represso, agisce nel lungo periodo come freno politico per i regimi autoritari. Le sanzioni economiche, quindi, vanno interpretate non come un’alternativa debole alla guerra, ma come uno strumento sofisticato di geopolitica del XXI secolo, capace di agire su molteplici livelli: economico, diplomatico, psicologico e strategico. Il loro potenziale si manifesta soprattutto quando sono coordinate, modulari e flessibili, come dimostrato dalla risposta dell’Occidente alla guerra in Ucraina.
Nina Celli, 2 luglio 2025