Uno degli argomenti più utilizzati a favore delle sanzioni economiche è che esse dovrebbero indurre un cambiamento comportamentale nello Stato colpito. In altre parole, colpendo l’economia si spera di piegare la volontà politica. Tuttavia, il caso russo dimostra che, anche quando le sanzioni sono intense, coordinate e prolungate, non garantiscono affatto il risultato atteso. A oltre tre anni dall’inizio della guerra in Ucraina e dopo l’imposizione di oltre 20.000 misure sanzionatorie, Mosca continua non solo a combattere, ma ad adattarsi, innovare e persino rafforzare alcuni settori strategici. Il Council on Foreign Relations ha evidenziato che nel 2023, nonostante le sanzioni, il PIL russo è cresciuto del 3,6%, sostenuto da una spesa militare senza precedenti. Questo dato apparentemente controintuitivo è in realtà la prova della resilienza di economie autoritarie che possono reindirizzare le risorse verso settori strategici e usare il controllo statale per neutralizzare gli effetti più evidenti delle sanzioni. Secondo il “Financial Times”, nel 2025 la Russia ha destinato oltre 172 miliardi di dollari alla Difesa (7,7% del PIL), il massimo dalla fine dell’URSS. Le strategie di elusione delle sanzioni si sono perfezionate. Il report “ISPI” mostra come la Russia abbia usato Paesi intermediari, in particolare in Asia Centrale, per triangolare merci vietate: le importazioni da UE verso Kazakistan, Armenia e Uzbekistan sono cresciute a doppia cifra, così come le loro esportazioni verso la Russia. Si tratta di una forma di adattamento sofisticato, non solo economico ma anche logistico e diplomatico, che rende le sanzioni vulnerabili a manipolazioni e inefficaci nel fermare i conflitti in tempo utile. Un’altra forma di adattamento riguarda la relocalizzazione industriale e tecnologica. Il sostegno di Cina, Iran e Corea del Nord ha permesso a Mosca di reintegrare mezzi blindati e droni, compensando parte delle perdite sul campo. “Startmag” ha documentato come 20.000 container nordcoreani siano stati consegnati a Mosca con materiali bellici, oltre a 9 milioni di proiettili, mentre la Cina ha aumentato del 30% l’esportazione di microchip e tecnologie dual-use nel 2024. Questo dimostra che, in assenza di un sistema globale di enforcement, le sanzioni non possono isolare un Paese determinato e sostenuto da potenze rivali dell’Occidente. Anche sul piano interno, la narrazione delle sanzioni come “arma democratica” si scontra con la repressione mediatica e la propaganda di Stato nei regimi autoritari. Il sondaggio del Levada Center (marzo 2025) indica che il 68% dei cittadini russi continua a sostenere la guerra. Questo è possibile grazie alla censura, ma anche grazie a misure compensative: l’aumento dei salari reali e dei contributi alle famiglie dei militari ha rafforzato il consenso interno, vanificando gli effetti disgreganti delle sanzioni economiche. Inoltre, il controllo sull’informazione permette di trasformare le sanzioni in una narrazione di accerchiamento che rafforza il patriottismo e la legittimità del regime. I risultati delle sanzioni sono chiari: la Russia mantiene ancora capacità offensive elevate, nonostante le perdite. L’operazione ucraina “Spiderweb”, pur avendo colpito 41 aerei strategici, non ha impedito a Mosca di continuare a bombardare con intensità. Le sanzioni, pur indebolendo il sistema industriale, non hanno interrotto la capacità bellica del Cremlino in modo decisivo né hanno costretto Putin a negoziare. Anzi, come conferma “AGI”, le condizioni proposte dalla Russia nel giugno 2025 prevedono concessioni massime da parte di Kyiv e la revoca totale delle sanzioni come primo passo, senza offrire alcuna garanzia in cambio. L’esperienza russa dimostra che le sanzioni economiche, da sole, non fermano una guerra. Possono colpire l’economia, generare effetti collaterali anche gravi, ma non garantiscono un esito politico desiderato. In contesti autoritari, con forti legami internazionali e un’opinione pubblica sotto controllo, esse rischiano di diventare una misura cosmetica, utile solo per salvare la coscienza delle democrazie occidentali, ma inefficace sul piano strategico.
Nina Celli, 2 luglio 2025