Contrariamente alla tesi secondo cui l’ascesa dei BRICS rappresenterebbe una minaccia all’equilibrio globale, è possibile sostenere che la loro affermazione costituisce un’opportunità per una maggiore resilienza e cooperazione internazionale, soprattutto tra i paesi del Sud globale. In un sistema spesso percepito come ingiusto, dominato da potenze occidentali che impongono condizioni economiche, politiche e normative, i BRICS si configurano come un alternativo spazio di negoziazione, inclusione e partenariato. Un esempio emblematico è la New Development Bank (NDB), fondata nel 2014, che ha già finanziato oltre 96 progetti per oltre 32 miliardi di dollari. A differenza delle istituzioni tradizionali come FMI o Banca Mondiale, la NDB non impone condizionalità legate a riforme strutturali, evitando pressioni che in passato hanno compromesso la sovranità politica ed economica dei beneficiari. Questa modalità alternativa di cooperazione consente a paesi come Etiopia, Bangladesh o Indonesia di finanziare progetti di infrastrutture, energia o sviluppo urbano senza dover sottostare a criteri occidentali spesso percepiti come neocoloniali. Il Brookings Institute conferma che molti paesi asiatici, pur mantenendo rapporti con gli Stati Uniti, stanno rafforzando i legami con i BRICS per diversificare i propri partner strategici e garantire una maggiore autonomia economica. Questo pluralismo delle alleanze non mina l’equilibrio globale, ma ne rafforza la flessibilità e la capacità di assorbire shock sistemici. In Africa, l’ingresso di paesi come Egitto ed Etiopia nei BRICS ha rafforzato la visibilità del continente nel dibattito internazionale. Non si tratta di una mera cooptazione, ma di un vero e proprio processo di redistribuzione della centralità geopolitica. Le discussioni promosse dai BRICS su temi come la riforma del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, la giustizia climatica e la regolazione dell’intelligenza artificiale offrono piattaforme concrete di voce e agency a paesi che spesso non siedono nei consessi decisionali globali. Inoltre, i BRICS stanno promuovendo forme di cooperazione Sud-Sud che superano l’ottica bilaterale “donatore-ricevente”. I programmi di investimento condiviso tra Brasile e Sudafrica nel campo dell’agricoltura sostenibile, o la collaborazione Cina-India-Africa sulle tecnologie energetiche a basse emissioni, dimostrano che la cooperazione multilaterale tra paesi in via di sviluppo può produrre soluzioni adatte a contesti locali, culturalmente e climaticamente differenti. Un altro elemento chiave è la resilienza sistemica. In un mondo segnato da crisi climatiche, pandemiche e tecnologiche, l’esistenza di più poli – capaci di coordinare risposte locali e regionali – riduce la dipendenza da singole istituzioni o potenze, evitando effetti domino in caso di fallimenti (come accaduto con la distribuzione diseguale dei vaccini nel 2021). I BRICS, attraverso strumenti paralleli ma non concorrenti, ampliano le capacità di risposta collettiva. Il successo diplomatico dei BRICS, quindi, nell’attrarre più di 30 candidature all’ingresso (tra cui Argentina, Nigeria, Thailandia, Malesia, Turchia) dimostra che la loro proposta risponde a un bisogno reale: non di contrapposizione, ma di co-progettazione di un mondo meno centrato su gerarchie post-coloniali. I BRICS, in definitiva, non sono una minaccia, ma un complemento necessario all’ordine globale, che promuove inclusione, cooperazione orizzontale e pluralismo. Il loro successo non indebolisce la stabilità internazionale: la rafforza, distribuendola.
Nina Celli, 29 giugno 2025