Una delle principali critiche rivolte ai BRICS è che la loro ascesa rappresenterebbe un tentativo coordinato di minare l’ordine globale esistente. Tuttavia, un’analisi attenta delle dinamiche interne al gruppo suggerisce una realtà molto diversa: i BRICS non sono un attore unitario, né dal punto di vista ideologico, né da quello strategico. Al contrario, la loro frammentazione interna costituisce un limite strutturale alla loro capacità di agire come blocco destabilizzante. Come sottolinea Mariel Ferragamo del Council on Foreign Relations, i BRICS “non sono un’organizzazione formale”, non hanno statuti vincolanti né meccanismi decisionali centralizzati. Si tratta di un forum informale, basato sul consenso e privo di un’autorità permanente. Questa mancanza di coesione istituzionale si riflette nella difficoltà di formulare posizioni comuni su temi cruciali come le riforme ONU, le crisi internazionali o le politiche climatiche. L’analisi di “Reuters” e quella del “Carnegie Endowment” mostrano come gli stessi membri fondatori siano divisi. India e Brasile si sono opposti – seppur in modo tacito – all’espansione incontrollata promossa da Cina e Russia. L’India, in particolare, teme che l’ampliamento dei BRICS rafforzi l’influenza geopolitica cinese nell’Asia meridionale e nei consessi multilaterali, a discapito del suo peso strategico. La rivalità sino-indiana è uno degli ostacoli principali all’efficacia del blocco. Come evidenziato da Ashley J. Tellis, l’India mantiene una posizione ambigua: partecipa ai BRICS, ma al tempo stesso rafforza la cooperazione militare con gli Stati Uniti, in chiave di contenimento proprio della Cina. Questa duplicazione strategica mina qualunque tentativo del gruppo di formulare una politica estera coerente e autonoma. Anche sul piano economico, le divergenze sono notevoli. Il progetto di una valuta BRICS è ostacolato da strutture macroeconomiche profondamente diverse: tassi d’inflazione, regimi fiscali, politiche monetarie e livelli di convertibilità delle valute rendono impossibile una convergenza reale, come nota “CFR”. Inoltre, la Cina concentra oltre il 70% del PIL del gruppo, creando una asimmetria di potere che genera diffidenza tra gli altri membri. Sul fronte diplomatico, infine, la capacità dei BRICS di presentarsi come alternativa credibile all’Occidente è compromessa da conflitti d’interesse evidenti: il Brasile mantiene forti legami commerciali con l’Unione Europea, l’India è alleata strategica degli USA, e il Sudafrica cerca di mediare tra le due sponde. Questa eterogeneità, lungi dall’essere una forza, è spesso un freno all’azione collettiva. Anche nei consessi multilaterali, come sottolinea Stuenkel, i BRICS faticano a formulare posizioni unitarie su temi come la guerra in Ucraina o la crisi israelo-palestinese, adottando linee disomogenee che riflettono le priorità nazionali piuttosto che una strategia comune. I BRICS, quindi, non hanno oggi la coerenza, la visione e gli strumenti per agire come una forza destabilizzante unitaria. Piuttosto, sono un tavolo di confronto in cui potenze emergenti cercano spazio in un sistema che percepiscono squilibrato. La loro ascesa, più che una minaccia, è una manifestazione delle transizioni complesse e pluraliste del mondo multipolare contemporaneo.
Nina Celli, 29 giugno 2025