L’espansione del blocco BRICS da cinque a undici membri – avvenuta nel biennio 2023–2024 – è uno dei segnali più tangibili di un tentativo deliberato di costruire un ordine alternativo a quello occidentale. Con l’ingresso di paesi come Iran, Etiopia, Egitto, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, il gruppo ha assunto una forma nuova, più eterogenea, ma anche più ambiziosa e carica di tensioni geopolitiche potenzialmente destabilizzanti. Secondo l’approfondita analisi di Mariel Ferragamo per il “Council on Foreign Relations”, l’obiettivo strategico dei BRICS ampliati è chiaro: “costruire una voce unica del Sud globale che si opponga all’egemonia occidentale nelle istituzioni internazionali”. Tuttavia, questa missione cozza con contraddizioni strutturali. Il blocco accoglie democrazie e autocrazie, economie di mercato e rentier states, rivali storici come Arabia Saudita e Iran, e paesi con relazioni opposte con l’Occidente. Le conseguenze di questa eterogeneità forzata non sono solo interne. Come segnalato da “Reuters”, la crescente influenza del blocco in America Latina – attraverso alleanze con CELAC e investimenti cinesi – ha scatenato una competizione regionale tra modelli: da un lato l’integrazione BRICS-cinese, dall’altro l’approccio tradizionale USA. In Asia, la competizione è ancora più evidente. Il Brookings Institute mostra come Malaysia, Indonesia e persino Singapore stiano valutando BRICS come piattaforma di diversificazione strategica, soprattutto in risposta alle tensioni con Washington. Questo fenomeno, lungi dall’essere un gesto simbolico, frammenta il sistema multilaterale e rende sempre più difficile una risposta coordinata su questioni globali come il clima, la sicurezza alimentare o le pandemie. Ma la frammentazione si estende anche alla diplomazia di pace. Diversi membri BRICS – Russia, Cina, Iran – sono direttamente coinvolti in conflitti o in sostegno a regimi sanzionati. La loro presenza in un blocco che si dichiara paladino della riforma dell’ONU crea ambiguità e dissonanza: come può un’entità chiedere più voce in un sistema multilaterale che contesta apertamente? Persino all’interno del gruppo, le divisioni sono profonde. Il “Carnegie Endowment” evidenzia come Brasile e India abbiano espresso scetticismo sull’espansione, temendo una “diluizione del peso specifico” e una “sinizzazione della leadership”. Questa dinamica interna al gruppo rischia di produrre più instabilità che equilibrio, dando vita a un blocco incapace di mediare efficacemente nelle crisi ma abile a bloccare e paralizzare il consenso globale. L’espansione dei BRICS, quindi, è più che un fenomeno numerico: è un tentativo dichiarato di cambiare l’ordine delle priorità della governance globale. Ma nel farlo, il blocco non propone un’alternativa funzionante, bensì un mosaico eterogeneo che rompe più di quanto costruisca. In questa ottica, la tesi che l’ascesa dei BRICS rappresenti una minaccia all’equilibrio geopolitico mondiale si rafforza, mostrando i BRICS non come agenti di riforma, ma come catalizzatori di polarizzazione e conflitto di visioni.
Nina Celli, 29 giugno 2025