L’affermazione che l’ascesa dei BRICS rappresenti una minaccia all’equilibrio globale presuppone che l’attuale assetto internazionale sia equilibrato e funzionale. Tuttavia, molte delle critiche mosse dagli stessi BRICS trovano eco anche tra analisti occidentali, che da tempo denunciano la scarsa rappresentanza del Sud globale, la persistenza di privilegi coloniali nelle istituzioni economiche multilaterali e l’inefficacia degli attori dominanti nell’affrontare sfide transnazionali. Il Council on Foreign Relations, nella sua analisi più recente sul gruppo, evidenzia come l’origine dei BRICS risieda nel desiderio condiviso di “riequilibrare la governance globale, dominata da pochi paesi occidentali”. Non si tratta, quindi, di minare l’ordine esistente, bensì di ampliarlo, correggendo squilibri strutturali. Un esempio: il G7, con poco più del 10% della popolazione mondiale, ha storicamente influenzato oltre il 50% delle decisioni globali in materia economica. La richiesta di una maggiore rappresentanza non è un’esclusiva BRICS. Anche voci istituzionali, come il Segretario Generale dell’ONU António Guterres, hanno criticato la struttura del Consiglio di Sicurezza o della Banca Mondiale come “residui di un mondo postbellico ormai superato”. I BRICS propongono, in risposta, strumenti complementari – come la New Development Bank – non per sostituire l’FMI, ma per dare credito e flessibilità a paesi emergenti, spesso penalizzati dalle condizioni imposte dalle istituzioni di Bretton Woods. Anche l’accusa di de-dollarizzazione è parzialmente infondata. Come riconosce David Krakauer, “una valuta BRICS è ancora un’ipotesi teorica, e il dollaro resta saldamente al centro del commercio e delle riserve globali”. Le iniziative in corso mirano a diversificare, non a destabilizzare. La possibilità per paesi soggetti a sanzioni di effettuare scambi in valute locali rappresenta più una valvola diplomatica che una minaccia sistemica. Dal punto di vista politico, i BRICS hanno spesso svolto funzioni di mediazione in contesti di crisi. Durante il conflitto Russia-Ucraina, ad esempio, India e Brasile hanno mantenuto posizioni equilibrate, promuovendo il dialogo e non appoggiando incondizionatamente Mosca. L’assenza di un’identità ideologica coesa nel blocco è spesso citata come debolezza, ma potrebbe essere letta anche come potenziale virtù: un forum eterogeneo che obbliga al compromesso piuttosto che all’allineamento ideologico. La crescente adesione al gruppo – con più di trenta domande formali presentate nel 2024 – mostra come molti paesi percepiscano i BRICS non come minaccia, ma come opportunità. Indonesia, Malesia e Nigeria, ad esempio, vi vedono una piattaforma per proteggere i propri interessi senza dover scegliere tra le due superpotenze globali. I BRICS, quindi, non sono un blocco monolitico antioccidentale. Sono un tentativo di creare uno spazio multilaterale più inclusivo, capace di correggere storture storiche senza per forza sostituirle. L’equilibrio globale non è messo in pericolo dalla loro ascesa; piuttosto, è reso più rappresentativo e sostenibile.
Nina Celli, 29 giugno 2025