L’intelligenza artificiale non è un’entità neutra. Le sue decisioni influenzano il diritto al lavoro, la libertà di espressione, la privacy e l’accesso ai servizi essenziali. Per questo motivo, ogni applicazione dell’IA dovrebbe essere vincolata a un corpus etico che protegga i diritti umani e promuova la giustizia sociale. È una responsabilità collettiva – di sviluppatori, governi e cittadini – assicurare che gli algoritmi non diventino veicoli di esclusione, discriminazione o controllo sociale. Una delle denunce più dirette arriva da Sarah Lee, che nel suo articolo su “Number Analytics” sottolinea come l’IA, se non correttamente regolata, può amplificare disuguaglianze strutturali e perpetuare bias razziali e di genere. Gli algoritmi usati per il reclutamento del personale o per il credito al consumo mostrano frequentemente pregiudizi nascosti, derivanti da dati storici distorti. L’etica, sostiene Lee, deve essere parte del design, e non un’appendice. Anche Molly Kinder del Brookings Institution si concentra sull’impatto sociale dell’IA sul mondo del lavoro. Citando il caso delle professioni entry-level minacciate dalla sostituzione algoritmica, sostiene che “la dignità del lavoro” è parte della condizione umana e deve essere tutelata da normative attente. Le sue parole – “lavorare è diventare umani” – riecheggiano la dottrina sociale della Chiesa e richiamano l’urgenza di una riflessione morale sull’IA che vada oltre l’efficienza tecnica. Nel contesto delle applicazioni in sanità, anche l’AI Governance Playbook promosso da Berkeley e dal World Economic Forum sottolinea la necessità di trasparenza, responsabilità e inclusività come elementi fondamentali per un’IA equa. Il documento raccomanda audit etici e incentivi concreti per premiare l’uso responsabile dell’IA. La giustizia sociale, in questo caso, si concretizza nella protezione delle categorie vulnerabili dai rischi sistemici. Una prospettiva filosofica più ampia viene offerta da Hinesh Jaswani, che propone l’introduzione di “checkpoints etici” nelle interazioni IA-utente. Quando un algoritmo riceve una richiesta potenzialmente sensibile, dovrebbe essere in grado di chiedere: “perché me lo stai chiedendo?”. Questa capacità, ancora assente nei sistemi attuali, rappresenterebbe un salto evolutivo verso una IA davvero responsabile e consapevole del contesto umano. L’etica, dunque, non è solo una cornice per evitare abusi. È una lente che permette di orientare lo sviluppo dell’IA verso il bene comune. Regolare l’IA per proteggere i diritti fondamentali non significa frenare l’innovazione, ma renderla compatibile con la democrazia, la dignità e l’uguaglianza.
Nina Celli, 28 giugno 2025