Nonostante la spettacolarità dell’intervento militare e il messaggio politico inviato a Teheran, numerose fonti sostengono che l’operazione statunitense abbia avuto un impatto operativo limitato sugli obiettivi strategici dichiarati. I tre impianti nucleari colpiti (Fordow, Natanz e Isfahan) erano già sotto osservazione dell’AIEA, e in parte già noti alla comunità internazionale. L’Iran, consapevole del rischio di un attacco, aveva predisposto lo spostamento di materiale fissile, riducendo così l’efficacia militare dell’azione USA. Secondo le analisi del Center for American Progress e dei tecnici dell’AIEA, l’intervento ha distrutto le infrastrutture ma non ha eliminato le competenze tecniche, le scorte di uranio arricchito o la volontà politica di Teheran. Anzi, la risposta iraniana – che ha incluso il ritiro dalla cooperazione con l’AIEA e l’espulsione di alcuni ispettori – ha ridotto drasticamente la trasparenza e la capacità di monitoraggio del programma nucleare. In altre parole, dopo l’intervento, si conosce meno del programma atomico iraniano rispetto a prima. Dal punto di vista tattico, l’effetto è stato ritardare – ma non bloccare – la capacità iraniana di costruire un’arma nucleare. Fonti israeliane citate da “AP News” stimano che l’Iran potrebbe comunque riprendere la produzione entro sei mesi. Inoltre, come osservato da “Foreign Affairs”, l’attacco ha rafforzato la convinzione interna al regime che solo un’arma nucleare possa garantire la sopravvivenza contro le minacce esterne, paradossalmente accelerando il processo decisionale per la militarizzazione. L’assenza di un piano politico e diplomatico coordinato con l’azione militare è un altro elemento critico. L’intervento non è stato accompagnato da una proposta multilaterale per il disarmo, né da una riapertura ufficiale dei negoziati sul JCPOA. Gli Stati Uniti, agendo unilateralmente, hanno vanificato gli sforzi di mediazione portati avanti dall’Europa e da altri attori. Fonti come “CSIS” e “PBS” lamentano che, invece di rafforzare l’architettura della non proliferazione, l’intervento l’ha indebolita. L’attacco ha alimentato una narrazione di vittimismo da parte iraniana, utilizzata dal regime per giustificare la repressione interna e la limitazione delle libertà civili. Secondo il Center for Human Rights in Iran, la retorica dell’aggressione esterna ha fornito copertura alla criminalizzazione del dissenso e alla militarizzazione della politica. Se lo scopo dell’intervento era rendere il mondo più sicuro e l’Iran meno pericoloso, i risultati appaiono quanto meno incerti.
Nina Celli, 27 giugno 2025