L’intervento militare statunitense contro l’Iran ha innescato un’escalation militare e diplomatica che ha aggravato, anziché contenere, le tensioni regionali. La decisione di colpire direttamente tre siti nucleari – Fordow, Natanz e Isfahan – ha immediatamente provocato una serie di reazioni iraniane, culminate in attacchi missilistici contro Israele e contro la base americana di Al Udeid in Qatar. Come riportato da “CNN”, “AP News” e “ISW”, la rappresaglia iraniana ha causato morti civili e ha mobilitato forze militari alleate. Il bombardamento USA è stato interpretato dal regime iraniano come un attacco esistenziale, rafforzando l’ala più radicale e isolazionista. Il Leader Supremo Ali Khamenei si è rifugiato in un bunker e ha avviato un processo di successione anticipata, segno di una crisi di legittimità interna. Secondo il Center for Strategic and International Studies, tale reazione interna ha portato alla cancellazione di qualsiasi dialogo multilaterale sul nucleare, con la chiusura ai colloqui con l’AIEA e una minaccia di disimpegno totale dagli obblighi internazionali. L’escalation ha avuto effetti negativi anche fuori dall’Iran. Hezbollah, in Libano, ha annunciato la mobilitazione in caso di ulteriore attacco israeliano, mentre le milizie sciite in Iraq hanno aumentato gli attacchi contro postazioni USA. Gli Houthi, sostenuti da Teheran, hanno intensificato le operazioni navali nel Mar Rosso. Secondo “CFR” e “CSIS”, il rischio di trasformare lo scontro diretto in una guerra per procura estesa è cresciuto, mettendo a rischio la sicurezza energetica mondiale e la vita dei civili in vari scenari. Inoltre, la possibilità che l’Iran proceda a una militarizzazione definitiva del proprio programma nucleare è aumentata. Il bombardamento ha fornito alla Repubblica Islamica la giustificazione perfetta per rompere ogni limite tecnico e giuridico imposto dal JCPOA. L’AIEA ha denunciato la perdita di accesso agli impianti colpiti, impedendo qualunque verifica esterna. Un Iran più isolato, sotto attacco e radicalizzato ha ora meno incentivi a collaborare e più motivazioni a dotarsi di armi di distruzione di massa. L’intervento USA, che nelle intenzioni avrebbe dovuto disinnescare una minaccia, potrebbe aver gettato le basi per una nuova corsa agli armamenti nella regione. Altri attori, come l’Arabia Saudita, potrebbero sentirsi costretti a dotarsi di armamenti nucleari in chiave difensiva. Per molti analisti, quindi, l’azione militare ha fatto esattamente il contrario di quanto promesso: ha rafforzato l’Iran più estremista e moltiplicato le possibilità di un conflitto regionale.
Nina Celli, 27 giugno 2025