Mentre miliardi di persone affrontano ogni giorno povertà, crisi climatica, guerre e disuguaglianze sistemiche, la narrazione crescente del potenziamento umano propone un sogno brillante, seducente — e profondamente fuorviante. L’idea di una nuova specie potenziata, dotata di intelligenza aumentata, longevità estesa e superiorità sensoriale, non solo ignora i bisogni immediati dell’umanità reale, ma rischia di deviare risorse, attenzione e volontà politica dai problemi urgenti verso un’utopia esclusiva, progettata per pochi. Il saggio Will AI Create Superhumans? di Sundram Dwivedi (“Medium”, giugno 2025) solleva la questione con lucidità: “E se stessimo spingendo l’evoluzione tecnologica a scapito della nostra umanità condivisa?” L’autore non nega il potenziale dell’AI, ma avverte che l’ossessione per l’eccezionale — superintelligenze, supergeni, superabilità — ci porta a disinvestire da ciò che rende la vita degna per la maggioranza: salute pubblica, accesso all’educazione, giustizia sociale, reti di solidarietà. Questa preoccupazione è condivisa da molti ricercatori e filosofi. Nell’articolo di “Futurism”, che riporta un simposio tra leader dell’AI e pensatori AGI, viene evidenziato come l’élite tecnologica investa miliardi nella corsa alla coscienza artificiale, trascurando deliberatamente i rischi concreti: controllo sociale, disoccupazione di massa, sorveglianza di stato. Daniel Faggella, promotore dell’evento, lo ammette: “I laboratori più potenti sanno che l’AGI potrebbe finire l’umanità, ma evitano di parlarne perché gli incentivi non lo permettono”. Allo stesso tempo, autori come Himanshu Kalkar (Digital Karma, 2025) propongono una visione più equilibrata, un’evoluzione che combini potenziamento esterno e consapevolezza interiore. Ma anche qui si rischia di cadere nella trappola di un new age transumanista che, pur nella sua spiritualità, allontana dalla concretezza della giustizia sociale. Chi deciderà chi accede a questo “risveglio 2.0”? Chi regolerà il “karma digitale” e la simbiosi bio-algoritmica? Persino le tecnologie apparentemente etiche, come gli “assistenti umanitari digitali” o i sistemi di advocacy aumentata descritti da “Meegle.com”, finiscono spesso in scenari elitari: pensati per aiutare rifugiati o vittime di guerra, vengono testati in centri accademici di lusso, finanziati da fondi privati, e raramente arrivano sul campo in modo efficace. È una umanizzazione simulata, non distribuita. La retorica del superumano crea una frattura cognitiva: mentre pochi si preparano all’immortalità e alla fusione mente-macchina, la maggior parte del mondo lotta per acqua potabile, cure mediche di base e accesso a Internet. Invece di “elevarsi”, il sogno del potenziamento rischia di costruire una casta intoccabile, al riparo dalla realtà. Il futuro non ha bisogno di superuomini. Ha bisogno di umani più giusti, sistemi più equi e priorità più umili. Smettere di inseguire l’illusione di un “salto evolutivo tecnologico” può essere il primo passo per riscoprire il valore del presente condiviso.
Nina Celli, 22 giugno 2025