La storia dell’innovazione è una parabola ricorrente: ogni tecnologia inizia come privilegio, diventa merce e si trasforma, infine, in diritto. L’energia elettrica, Internet, l’istruzione, la sanità — tutte sono passate da accessi elitari a risorse pubbliche. Lo stesso accadrà, con tempi e tensioni proprie, anche con le tecnologie di potenziamento umano. Oggi, è indubbio che l’accesso a neuroimpianti, terapie genetiche e potenziamenti cognitivi sia limitato ai pochi che possono permetterseli. Il caso di Singapore, esaminato da Alexis Heng Boon Chin (Human Genetic Enhancement and Eugenics, 2025), mostra come l’uso di test genetici e biotecnologie riproduttive sia oggi appannaggio delle élite accademiche e finanziarie. Ma proprio per questo, afferma l’autore, “la tensione sociale e l’opinione pubblica stanno spingendo verso la costruzione di cornici normative che riequilibrino l’accesso” (“SpringerNature”, giugno 2025). La lezione che ne deriva è chiara: la regolazione segue l’abuso e lo trasforma in equità. Già oggi si parla di politiche pubbliche globali per garantire un accesso diffuso alle tecnologie di base, come suggerito nell’articolo UNDP Human Development in the Age of AI. Alcune proposte vanno dalla creazione di fondi sovrani biotecnologici a licenze open-source per neurointerfacce, fino a un “patto digitale globale” sotto l’egida delle Nazioni Unite. Anche sul piano tecnico, la democratizzazione delle tecnologie di potenziamento è più realistica di quanto si pensi. Il concetto di “open biohacking”, esplorato da Sarah Lee (The Future of Transhumanism, 2025), sta emergendo in modo analogo all’open source informatico: gruppi comunitari sviluppano, testano e diffondono potenziamenti biologici a costi accessibili. Ciò pone rischi, ma anche enormi potenzialità di diffusione etica e non commerciale. L’argomento secondo cui l’umanità si dividerebbe per sempre in “superumani” e “umani” ignora il dinamismo storico delle rivoluzioni tecnologiche. Come ricorda Amodei (CEO di Anthropic) su “Axios”, anche se le AI saranno inizialmente gestite dalle big tech, la pressione pubblica e i processi democratici porteranno inevitabilmente a una redistribuzione dei benefici — tramite fiscalità, formazione, accesso pubblico e standard etici obbligatori. Proposte come il “token tax” di Amodei — una tassa globale del 3% sulle operazioni AI, redistribuita tramite fondi per l’uguaglianza tecnologica — dimostrano che gli strumenti per la compensazione esistono. Manca la volontà politica e la pressione civica, ma non la fattibilità. Non saranno, quindi, le tecnologie a distruggere l’uguaglianza. Saranno le scelte fatte (o non fatte) dalle istituzioni, dai cittadini, dai mercati. E come insegna la storia, quando la domanda per l’accesso equo diventa universale, nessun superpotere può ignorarla. I “superuomini” di oggi sono i pionieri di un futuro che — con governance adeguata — può diventare superumano per tutti.
Nina Celli, 22 giugno 2025