In un’epoca dominata dal timore che la tecnologia possa “disumanizzare” l’individuo, il transumanesimo offre invece una prospettiva alternativa e controintuitiva: non una negazione dell’identità umana, ma una sua rifondazione consapevole, una via per esplorare e amplificare ciò che rende l’essere umano unico. Secondo Sarah Lee (The Sociology of Human Enhancement Technologies), il transumanesimo non è una corsa cieca verso l’iper-efficienza, ma un processo culturale e sociale che stimola domande profonde su identità, corpo, mente e libertà. Le tecnologie di potenziamento – dalle neuroprotesi all’editing genetico – pongono l’uomo di fronte a una scelta: restare nella comfort zone di una biologia immodificata o esplorare il proprio potenziale, pur con tutti i rischi del caso. E scegliere consapevolmente chi si vuole diventare è forse la forma più alta di libertà. Anche il mondo religioso e spirituale comincia ad aprirsi a un dialogo costruttivo. Nell’articolo Religion and Transhumanism pubblicato su “Kompas.id”, si esplora come le religioni possano riconoscere nel transumanesimo un’aspirazione alla trascendenza che – pur se tecnologica – non è dissimile da quella spirituale. Il desiderio di superare la malattia, l’invecchiamento e la morte può essere letto non come una sfida blasfema, ma come una tensione intrinseca all’essere umano verso il miglioramento e il significato. L’antropologo culturale Peter Anakobe Adinoyi suggerisce che la vulnerabilità non va abolita, ma integrata: un individuo potenziato non è necessariamente più distante dall’umanità, se resta capace di empatia, fallibilità e riflessione etica. Al contrario, l’auto-modellamento responsabile può aumentare la coscienza di sé e la responsabilità morale. Questo pensiero è ripreso anche da Dan Zimmer, autore di A New Political Compass (“Noema Magazine”, 2025), che sostiene la necessità di una “via centrale” tra transumanismo e postumanesimo ecologico. Zimmer propone un’identità umana non statica, ma ibrida, in evoluzione, capace di integrare intelligenze artificiali, tecnologie cognitive e dimensioni spirituali in un equilibrio dinamico. Digital Karma di Himanshu Kalkar riunisce i fili di questo discorso con una tesi provocatoria: l’evoluzione non sarà decisa dal chip o dal gene, ma dalla nostra capacità di interiorizzare eticamente ciò che sviluppiamo esternamente. Il vero “superumano” non sarà chi avrà più RAM nel cervello, ma chi saprà orientare la propria coscienza verso un bene collettivo. Dunque, il transumanesimo non ci aliena dalla nostra essenza. Al contrario, ci costringe a ridefinire l’essere umano in un’epoca in cui l’identità non è più data, ma costruita. È una chiamata alla maturità, non un tradimento dell’umano.
Nina Celli, 22 giugno 2025