Nell’immaginario collettivo, le tecnologie di potenziamento umano vengono spesso presentate come una chiave di emancipazione universale, ma la realtà che si sta delineando è ben diversa: quella di una secessione biologica mascherata da progresso. Un mondo in cui non solo il capitale culturale o finanziario, ma anche il capitale genetico e neurotecnologico, diventa ereditabile, inaccessibile e discriminante. L’esperienza di Singapore analizzata da Alexis Heng Boon Chin (“SpringerNature”, 2025) è paradigmatica: mentre le famiglie più ricche accedono a test poligenici, editing embrionale e selezione genetica per massimizzare i tratti desiderati nei figli, le famiglie meno abbienti si trovano escluse da questa nuova “gara cognitiva”. La conseguenza è una polarizzazione estrema, dove la performance biologica viene progettata, e non solo educata, fin dalla nascita. Il problema non è solo economico. Come avverte Barbara Pfeffer Billauer in un saggio pubblicato dall’American Council on Science and Health (2025), l’introduzione di tecnologie genetiche germinali e PGS (polygenic scoring) porta con sé il rischio concreto di una nuova eugenetica soft, in cui la pressione sociale sostituisce la coercizione statale. Non si impone chi può procreare, ma si impone chi può eccellere. Il “naturale” diventa sinonimo di marginale. Queste dinamiche si aggravano nel mondo del lavoro. Dario Amodei, CEO di Anthropic, in un’intervista ad “Axios” (2025), ha lanciato l’allarme: l’IA e i sistemi di potenziamento cognitivo rischiano di cancellare il 50% dei lavori d’ufficio entry-level, creando una nuova divisione tra coloro che possono permettersi l'accesso all’intelligenza aumentata e coloro che vengono semplicemente sostituiti. Si profila una tecnocrazia biologica, dove la competitività non è più formativa, ma innata — o peggio, acquistabile. Il transumanesimo, in questa prospettiva, diventa non una filosofia inclusiva, ma una narrazione per giustificare la concentrazione del potere cognitivo. L’articolo The Genetic Engineering Revolution (“Casual Preppers!, 2025) ipotizza un futuro in cui le risorse di sopravvivenza — lavoro, cure, sicurezza — vengono subordinate al patrimonio genetico. “Non sarà più cosa possiedi, ma cosa sei geneticamente progettato per essere”, afferma provocatoriamente l’autore. La tecnologia, quindi, non risolve la disuguaglianza: la radicalizza. Trasforma lo svantaggio economico in discriminazione biologica sistemica, in un ciclo difficile da rompere. Le soluzioni proposte — come la fiscalità redistributiva o le licenze open-source — sono ancora mere ipotesi, mentre le applicazioni concrete avanzano senza regolazione adeguata, come denunciano gli stessi ricercatori dell’UNDP. Il rischio maggiore è culturale: se l’umanità si abitua a concepire il valore umano in termini di prestazione biologica potenziata, allora anche l’empatia, la solidarietà e l’etica rischiano di diventare obsoleti. Invece di emancipare, il potenziamento potrebbe disumanizzare proprio coloro che non possono permetterselo.
Nina Celli, 22 giugno 2025