L’umanità si trova sull’orlo di una trasformazione senza precedenti. L’avvento di tecnologie come l’intelligenza artificiale, le interfacce neurali, l’ingegneria genetica e le protesi bio-cibernetiche non sta semplicemente cambiando il nostro modo di vivere: sta riscrivendo i confini stessi di ciò che significa essere umani. Non è distopia, ma realtà in costruzione. In questo scenario, la disuguaglianza tra “uomini” e “superuomini” potrebbe non essere una minaccia, ma un’opportunità: quella di far evolvere l’intera specie verso una nuova tappa del proprio percorso esistenziale. Diversi studi recenti mostrano che il potenziamento umano sta già producendo benefici concreti. Le tecnologie di neurostimolazione e interfacce cervello-computer permettono oggi a persone con disabilità motorie di controllare arti robotici solo con il pensiero, restituendo autonomia e dignità. Sistemi AI avanzati personalizzano le terapie mediche analizzando dati genomici e ambientali, con risultati migliori in prevenzione e cura. Non si tratta solo di “migliorare i forti”, ma di ridurre vulnerabilità croniche in larghe fasce della popolazione. In contesti di lavoro, l’adozione di strumenti cognitivi potenziati ha mostrato un aumento dell’efficienza, della sicurezza e persino dell’inclusione lavorativa per persone anziane o affette da declino cognitivo. In scenari più futuribili ma plausibili, si ipotizza la fusione uomo-macchina tramite impianti AI per superare limiti cognitivi e sensoriali. Queste soluzioni, secondo l’autore Himanshu Kalkar nel suo saggio Digital Karma, potrebbero dar vita a una “evoluzione simbiotica”, dove progresso tecnologico ed evoluzione interiore cooperano. La creazione di “superumani”, se distribuita in modo etico e regolato, potrebbe generare nuove classi di “facilitatori evolutivi”, individui capaci di affrontare crisi planetarie con maggiore intelligenza, empatia e resilienza. In questo senso, la disuguaglianza iniziale tra potenziati e non-potenziali sarebbe transitoria, come lo è stata l’alfabetizzazione nei secoli passati: da privilegio elitario a diritto diffuso. Anche dal punto di vista culturale e filosofico, autori come Sarah Lee e Sundram Dwivedi vedono nel transumanesimo un’opportunità di riscrittura delle identità umane. La vulnerabilità stessa non verrebbe negata, ma reinterpretata: si potrà essere fragili e potenziati allo stesso tempo, capaci di emozioni e di calcolo iper-razionale. Certo, non tutto sarà semplice. Servirà una governance globale, etica e lungimirante. Ma negare il potenziamento umano per paura della disuguaglianza significa rifiutare una possibilità di salto evolutivo che — se ben gestita — può elevare tutti.
Nina Celli, 22 giugno 2025