Uno degli aspetti più delicati e controversi del dibattito sulla libertà assoluta di espressione online è il suo rapporto con le minoranze. A prima vista, potrebbe sembrare che lasciare spazio illimitato al discorso su internet favorisca la diffusione di odio o disinformazione contro gruppi vulnerabili. Tuttavia, un’analisi più approfondita mostra che proprio le minoranze – etniche, culturali, sessuali, politiche – traggono vantaggio da uno spazio digitale non filtrato da autorità centrali, pubbliche o private. La censura, anche se motivata da buoni propositi, tende spesso a colpire proprio chi ha meno potere. Un esempio eloquente viene dall’esperienza della Electronic Frontier Foundation (EFF), che ha documentato numerosi casi in cui contenuti LGBTQ+ o legati a dissidenza politica sono stati rimossi arbitrariamente da piattaforme come Meta. Nell’articolo del 9 gennaio 2025, Jillian C. York denuncia come le modifiche alle politiche di contenuto di Facebook abbiano finito per aumentare la tolleranza verso discorsi discriminatori, pur promettendo maggiore apertura. I soggetti realmente penalizzati sono stati gli attivisti queer, i difensori dei diritti dei sex worker e le voci dissidenti nei confronti dei governi. Una dinamica simile è stata descritta in un’altra analisi dell’EFF (18 giugno 2025), focalizzata sul mese dell’orgoglio LGBTQ+. Secondo il report, molti contenuti di educazione sessuale, autodifesa digitale e supporto psicologico per giovani queer sono stati sistematicamente censurati o “declassati” nei motori di ricerca delle piattaforme. Ciò ha avuto effetti concreti sulla capacità di questi gruppi di fare rete, ottenere risorse e difendersi da abusi. L’unico vero strumento di resilienza rimane, ancora una volta, la libertà totale di espressione online e l’uso di strumenti decentralizzati (VPN, reti P2P, forum criptati). A sostegno di questa tesi interviene anche l’esperienza accademica. La guida dell’Office for Students nel Regno Unito sottolinea come molte opinioni “non ortodosse” – ad esempio critiche alla teoria gender o posizioni filosofiche minoritarie – vengano auto-censurate per paura di sanzioni, proteste studentesche o penalizzazioni nei finanziamenti. Questo clima ha un effetto raggelante (“chilling effect”) sull’innovazione intellettuale e sulla libertà pedagogica. In assenza di una protezione assoluta del discorso, le minoranze di pensiero sono le prime a soccombere. L’esperienza politica internazionale rafforza ulteriormente il legame tra libertà assoluta e tutela del dissenso. In un’analisi del “Brookings Institution” sulla funzione della protesta in democrazia (giugno 2025), Vanessa Williamson afferma: “La protesta – inclusa quella digitale – è il sintomo vitale di una società libera. Gli autocrati non temono il dissenso individuale, ma il dissenso organizzato”. Questo principio si applica pienamente anche allo spazio digitale: ciò che le autorità (governi o piattaforme) temono è l’auto-organizzazione delle minoranze attraverso contenuti, hashtag, video, live stream e reti alternative. Il caso dell’Oklahoma Supreme Court (giugno 2025), che ha stabilito l’illegittimità della censura accademica su temi razziali e LGBTQ+, dimostra che la libertà assoluta non è un nemico delle minoranze, ma una loro alleata. È grazie a questa libertà che studenti e docenti possono discutere apertamente di razzismo sistemico, colonialismo, identità di genere – e contribuire a un cambiamento culturale profondo. Una moderazione troppo zelante, anche se ben intenzionata, quindi, rischia di trasformarsi in silenziamento delle stesse voci che pretende di difendere. La libertà assoluta online offre invece uno spazio aperto, in cui le minoranze possono parlare, organizzarsi e resistere. E in un’epoca in cui i margini di dissenso si restringono offline, proteggere questa libertà è una forma di autodifesa collettiva.
Nina Celli, 19 giugno 2025