La libertà di espressione è un diritto fondamentale, ma come ogni diritto in una società democratica, deve confrontarsi con i diritti altrui e con il bene collettivo. L’ipotesi di una libertà assoluta di parola online, cioè senza limiti di legge, algoritmi o moderazione, rischia di trasformare internet in un ambiente tossico, dove le voci più aggressive, organizzate e radicalizzate prevalgono su quelle vulnerabili. Le conseguenze non sono solo teoriche: si misurano in atti d’odio, isolamento sociale, discriminazione, radicalizzazione politica e, nei casi peggiori, violenza fisica. Il Parlamento Europeo, in uno studio comparativo tra USA e UE (giugno 2025), mette in guardia dai limiti del modello americano, dove il Primo Emendamento garantisce ampia protezione anche al discorso d’odio. Secondo l’analisi, l’assenza di regolamentazione ha permesso la proliferazione di contenuti estremisti su piattaforme come X e YouTube, con effetti tangibili sulla sicurezza dei cittadini e sulla percezione delle minoranze. In contrapposizione, il modello europeo – basato su limiti proporzionati sanciti dalla CEDU – cerca di bilanciare la libertà di espressione con la dignità e l’integrità degli individui. Questa preoccupazione è condivisa anche da organismi internazionali come il Consiglio d’Europa, che durante la No Hate Speech Week (giugno 2025) ha definito l’hate speech “una minaccia alla democrazia stessa”. Il Segretario Generale Alain Berset ha sottolineato il rischio che il linguaggio d’odio, se non contrastato, si trasformi in crimine, specialmente quando amplificato da algoritmi e contenuti generati da intelligenze artificiali. L’invito è stato a promuovere “regole trasparenti e proporzionate”, non come censura, ma come difesa attiva dei valori democratici. Numerosi studi hanno documentato come le piattaforme non moderate diventino incubatori di odio organizzato. Il report dell’EFF (gennaio 2025) su Meta mostra che anche piccoli cambiamenti nelle policy possono aumentare la diffusione di messaggi denigratori contro minoranze LGBTQ+ o migranti. Le modifiche che consentono “discorsi esclusivi di genere” o “linguaggio insultante in contesti religiosi o politici” sono stati interpretati – e utilizzati – da gruppi radicali per legittimare l’offesa pubblica, generando una spirale di esclusione sociale e violenza verbale. Anche nel contesto giudiziario, la libertà assoluta si è dimostrata insufficiente a prevenire l’abuso. Il caso dell’EFF e della canzone “Shoot the Boer” in Sudafrica, oggetto di controversia internazionale, mostra come la libertà di espressione possa essere utilizzata per legittimare simboli di aggressione. Sebbene la Corte Suprema sudafricana abbia stabilito che la canzone è protetta da “contesto storico”, molti attivisti ed esponenti politici hanno sottolineato che la sua reiterazione online, in ambienti polarizzati, favorisce un clima di tensione etnica e razziale. Anche i dati parlano chiaro. Secondo il ministro sudafricano Senzo Mchunu, nel primo trimestre del 2025, 5 delle 6 persone uccise in ambienti rurali erano nere – contraddicendo la narrazione del genocidio dei bianchi. Tuttavia, quella narrazione è cresciuta online fino a spingere il presidente USA a offrire asilo politico a oltre 60 Afrikaner, diffondendo un’immagine distorta della realtà e acuendo le fratture geopolitiche. L’idea di una libertà illimitata di parola online ignora il fatto che le parole non sono mai neutre: possono rafforzare identità, ma anche alimentare conflitti. Senza limiti legali o moderazione responsabile, internet rischia di diventare un’arma contro la coesione sociale e un campo minato per le minoranze. La libertà deve sì esistere, ma sempre in equilibrio con la responsabilità.
Nina Celli, 19 giugno 2025