L’attacco israeliano in Iran ha generato un effetto domino che sta destabilizzando l’intero Medio Oriente. La reazione iraniana – oltre 200 missili lanciati verso Israele, alcuni dei quali hanno colpito anche infrastrutture diplomatiche americane a Tel Aviv – rappresenta solo il primo anello di una possibile escalation che potrebbe trasformarsi in un conflitto su scala regionale. Il quadro è aggravato dalla retorica del cambio di regime. Secondo “Reuters”, Netanyahu ha dichiarato che “un Iran democratico e senza ayatollah sarebbe il primo passo verso un Medio Oriente pacificato”. Questa dichiarazione, sebbene non seguita da atti ufficiali, è stata letta come un segnale d’allarme a Teheran e ha rafforzato le fazioni più radicali del regime. L’impatto economico globale è già visibile: il prezzo del petrolio ha superato i 120 dollari al barile, mentre l’inflazione in Europa ha subito un rialzo. Le rotte commerciali nel Golfo sono sotto minaccia, con navi statunitensi che pattugliano lo stretto di Hormuz. Il rischio di chiusura dello stretto – da cui passa il 20% del petrolio mondiale – è stato definito “molto alto” dall’OPEC. Il peggiore scenario – un conflitto diretto USA-Iran – resta evitabile, ma il rischio aumenta ogni giorno che passa. Le truppe americane in Bahrein, Kuwait e Qatar sono state messe in allerta, mentre il Pentagono ha spostato portaerei nella regione. La Cina, da parte sua, ha attivato canali diplomatici con l’Iran per evitare una guerra su vasta scala, temendo ripercussioni sulle proprie forniture energetiche. Vi è, inoltre, il pericolo di una crisi nucleare indiretta: l’Iran ha dichiarato di voler riesaminare la sua adesione al Trattato di Non Proliferazione, mentre la popolazione iraniana, anziché ribellarsi al regime, si è compattata attorno alla narrativa dell’“aggressione sionista”. Paradossalmente, l’attacco israeliano ha rafforzato i falchi iraniani e indebolito le spinte riformiste. Il raid israeliano, dunque, non ha neutralizzato una minaccia, ma l’ha moltiplicata, aprendo una stagione di instabilità, militarizzazione e polarizzazione che avrà conseguenze ben oltre i confini del Medio Oriente.
Nina Celli, 18 giugno 2025