L’operazione militare israeliana del giugno 2025 ha provocato uno dei bilanci civili più gravi in un conflitto tra Stati del XXI secolo. A essere colpiti non sono stati solo bunker militari o siti nucleari, ma anche quartieri civili, ospedali, mezzi di trasporto, e – simbolicamente – la sede della televisione pubblica iraniana IRIB, colpita mentre una giornalista era in diretta televisiva. Il numero delle vittime è agghiacciante: secondo il Ministero della Salute iraniano, confermato da “Al Jazeera”, i morti ammontano a 224 persone e i feriti a 1.481, tra cui decine di donne, bambini, anziani e lavoratori che non avevano alcun legame con le strutture militari. L’articolo racconta le storie di Mahsa, un’insegnante, Reza, un fotografo freelance, e Sara, un’istruttrice di Pilates, uccisi nei bombardamenti nei pressi di Teheran. Nessuno di loro era un bersaglio legittimo. La retorica dell’attacco chirurgico è stata smontata anche da osservatori esterni. La CPJ (Committee to Protect Journalists) ha condannato il bombardamento di IRIB come “una violazione della libertà di stampa e un precedente gravissimo contro il diritto all’informazione in tempo di guerra”. Ma oltre al bilancio umano diretto, l’attacco ha scatenato un esodo di massa da Teheran: secondo la “BBC”, più di 400.000 persone hanno lasciato la capitale nei giorni successivi all’attacco per paura di ulteriori bombardamenti. Le immagini mostrano autostrade intasate, stazioni ferroviarie prese d’assalto e file agli ospedali civili, molti dei quali erano già sovraccarichi. L’effetto psicologico della guerra è devastante. “Non sappiamo dove rifugiarci. I bambini piangono ogni volta che sentono un rumore forte”, ha raccontato una madre intervistata da “Al Jazeera” in un rifugio improvvisato in periferia. Anche la diplomazia internazionale ha espresso sconcerto. Il Papa ha parlato di “un’azione che colpisce i più deboli”, mentre la Francia ha chiesto un’inchiesta indipendente sui bersagli civili. La comunità umanitaria ha messo in guardia contro il rischio di epidemie e collasso dei servizi di base se il conflitto si protrae. Insomma, la sproporzione tra gli obiettivi dichiarati e le conseguenze reali dell’attacco mina ogni pretesa di legittimità. Non è autodifesa: è punizione collettiva, inaccettabile secondo ogni principio umanitario.
Nina Celli, 18 giugno 2025