Uno dei principali razionali strategici dell’offensiva israeliana in Iran è legato alla neutralizzazione – o quantomeno al rallentamento – del programma nucleare della Repubblica Islamica. Per Tel Aviv, l’ipotesi che Teheran possa dotarsi di un’arma atomica non è una semplice questione di equilibri geopolitici, ma un tema esistenziale. A differenza di altre crisi internazionali, quella tra Israele e Iran si caratterizza per una narrativa esplicita e prolungata in cui la distruzione dello Stato ebraico è stata invocata pubblicamente da esponenti del regime iraniano. Secondo l’IAEA, l’Iran possiede circa 400 kg di uranio arricchito al 60%, una soglia vicinissima al livello per uso militare, sufficiente per costruire fino a dieci ordigni nucleari. Questa informazione, riportata anche dalla “BBC”, ha rappresentato per Israele una linea rossa. L’inazione, secondo molti analisti israeliani, avrebbe significato cedere all’inevitabilità di una bomba iraniana. Il ministro della Difesa ha parlato di “una finestra di opportunità che si chiude rapidamente”. Il raid del 14 giugno ha colpito, tra gli altri, gli impianti sotterranei di Natanz e Isfahan, oltre a centri di comando militari e reti di comunicazione critiche. Nonostante l’AIEA non abbia segnalato fughe radioattive, ha confermato che gli attacchi “hanno interrotto il funzionamento ordinario degli impianti nucleari, causando danni infrastrutturali rilevanti”. La logica israeliana è chiara: ogni giorno in più senza attaccare avrebbe aumentato le possibilità che l’Iran portasse avanti il programma indisturbato. Come nel caso della Siria nel 2007, o dell’Iraq nel 1981, Israele ha optato per la dottrina del “mowing the grass”: colpire, destabilizzare e ritardare. “Non possiamo distruggere il know-how, ma possiamo impedire la costruzione dell’arma”, ha dichiarato un ufficiale IDF al “NYTimes”. Va inoltre considerato l’impatto psicologico: l’attacco ha lanciato un messaggio potente sia all’Iran che agli altri attori regionali (come l’Arabia Saudita, che nel 2018 paventò la costruzione di una bomba come deterrente) che Israele non tollererà una corsa agli armamenti nucleari nella regione. È un monito anche per la comunità internazionale, troppo spesso titubante nell’imporre limiti reali al programma iraniano. Se l’Iran abbandonerà o modererà le sue ambizioni atomiche dopo questo attacco – oppure se le accelererà – resta un interrogativo. Ma per Israele, l’alternativa a non agire era peggiore: un Medio Oriente con più armi nucleari e meno margini di deterrenza.
Nina Celli, 18 giugno 2025