Israele ha agito in autodifesa preventiva. È questa la tesi fondante del governo Netanyahu, ribadita con fermezza in ogni sede diplomatica, nei comunicati dell’IDF e nelle dichiarazioni pubbliche. La minaccia non è percepita come ipotetica: è concreta, accumulata da anni, stratificata in dossier d’intelligence e alimentata da dichiarazioni ufficiali del regime iraniano che da decenni nega la legittimità dello Stato ebraico. “Non è solo una guerra per difendere il nostro territorio, ma per garantire che i nostri figli abbiano un futuro sicuro”, ha detto Netanyahu in un messaggio video diffuso durante l’escalation. La decisione di colpire obiettivi strategici a Teheran e in altre zone del paese è maturata all’interno di un contesto storico e geopolitico in cui Israele si sente da anni circondato da milizie sostenute dall’Iran: Hezbollah in Libano, Hamas a Gaza, e più recentemente, le forze Houthi in Yemen. Secondo il liveblog di “Al Jazeera”, l’Iran ha reagito agli attacchi israeliani promettendo “la più grande risposta missilistica della storia” e lanciando oltre 200 missili contro città israeliane, compresa Tel Aviv, dove è stato colpito anche un ramo dell’ambasciata americana. In questo quadro, l’autodifesa non è solo una risposta a una minaccia immediata, ma una misura strategica: prevenire che l’Iran possa rafforzare ulteriormente la sua capacità militare o acquisire un’arma nucleare. “La nostra intelligence suggerisce che i piani nucleari iraniani sono più avanzati di quanto si pensasse”, ha affermato un funzionario della difesa israeliana citato dalla “CNN”. E ancora: “Abbiamo distrutto il 35% delle loro capacità missilistiche a lungo raggio in meno di una settimana”. Questo tipo di azione si inserisce in una dottrina militare che Israele applica sin dai tempi dell’Operazione Opera del 1981, quando fu distrutta la centrale nucleare di Osirak in Iraq. All’epoca, Israele venne criticato ma oggi molti storici ammettono che quell’azione impedì a Saddam Hussein di ottenere l’arma atomica. Anche allora, come oggi, la logica era: meglio agire ora che subire dopo. Non va dimenticato, inoltre, che l’Iran continua a esercitare influenza su gruppi armati che minacciano Israele lungo i suoi confini. In un mondo in cui la diplomazia spesso fallisce e i trattati internazionali vengono elusi, Israele si è assunto la responsabilità – moralmente e politicamente rischiosa – di colpire per primo. È una decisione che il governo ha giustificato con il principio della “necessità estrema” riconosciuto, seppure controversamente, nel Diritto internazionale.
Nina Celli, 18 giugno 2025