Se il potere si definisce come la capacità di imporre un ordine o di modellare la realtà secondo la propria volontà, allora l’AI, nelle mani di governi autoritari o corporazioni dominanti, diventa lo strumento di controllo definitivo. Non è più necessario reprimere con la forza quando puoi orientare la percezione, il desiderio e l’informazione in tempo reale su scala globale. Nel 2025, Brookings denuncia che alcuni Stati, come gli USA sotto l’amministrazione Trump, stanno cercando di centralizzare il controllo sull’AI attraverso leggi che vietano ai singoli Stati di regolamentare autonomamente (Moratoria AI decennale, maggio 2025). Questa strategia, apparentemente finalizzata all’unità normativa, si traduce nella sottrazione del diritto delle comunità locali di tutelarsi da applicazioni invasive o discriminatorie. Si delinea così una struttura monolitica, in cui l’AI è al servizio di interessi federali, economici e strategici. Ancora più inquietante è il ruolo crescente delle aziende tecnologiche private. Come osserva “Freethink” (2025), l’AI militare è già largamente sviluppata da fornitori americani, non sempre sottoposti a scrutini democratici. Questi sistemi vengono esportati, personalizzati e impiegati in contesti geopolitici instabili, potenzialmente fuori da ogni controllo pubblico. È una militarizzazione cognitiva in outsourcing. Questa dinamica produce una nuova forma di colonialismo digitale: chi controlla l’AI – o le infrastrutture che la alimentano – esercita un potere asimmetrico sulle nazioni che ne dipendono. La regolamentazione “soft” promossa da iniziative volontarie (come il GPAI o l’OECD AI Principles) non ha forza vincolante e lascia spazio a chi vuole usare l’AI per fini opposti a quelli dichiarati: sorveglianza di massa, manipolazione elettorale, contenimento delle proteste sociali. Come sottolinea Jerome Glenn nel “CIRSD” (2025), lo sviluppo incontrollato dell’AI può generare “armi di distruzione di massa autonome” – ma anche “disuguaglianza informativa sistemica”. Il controllo non passa più solo dai confini o dalle armi, ma dalla capacità di decidere quali dati esistono, quali vengono elaborati, quali vengono mostrati, e a chi. L’uomo, in questo scenario, non è più il soggetto politico, ma l’oggetto di governance predittiva. Non è represso: è previsto, profilato, ottimizzato. E l’ottimizzazione, quando non è condivisa, diventa sottomissione.
Nina Celli, 13 giugno 2025