Il timore che l’AI conduca a una disoccupazione di massa e alla marginalizzazione dell’essere umano è una narrazione nota, ma errata. In realtà, la storia della tecnologia ci insegna che ogni innovazione che ha sostituito l’uomo in certi compiti ha anche aperto nuovi spazi di valore. L’AI non farà eccezione. Se governata con saggezza, può non solo preservare l’occupazione, ma migliorarla. Il report Smart AI regulation strategies di Brookings (2025) mostra come l’introduzione di regole agili, sandboxes normativi e incentivi alle PMI possa stimolare l’adozione dell’AI senza sacrificare il lavoro umano. Non si tratta di “resistere” all’automazione, ma di trasformarla in un alleato per liberare l’uomo dalle mansioni più ripetitive, pericolose e alienanti, concentrandosi su ciò che rende il lavoro umano insostituibile: empatia, creatività, etica. L’esempio di Amburgo lo dimostra: l’uso dell’AI nei servizi sociali non ha eliminato posti di lavoro, ma ha permesso ai funzionari pubblici di abbandonare compiti amministrativi per dedicarsi all’assistenza diretta, secondo il documento OECD del maggio 2025. L’AI, in questo contesto, agisce come “liberatore cognitivo”, restituendo agli umani il tempo e lo spazio per ciò che conta davvero. L’argomento della disuguaglianza, poi, è reale – ma non è intrinseco all’AI, bensì al modo in cui viene distribuita. L’articolo dell’OECD sul Framework di governance anticipatoria (2025) propone modelli di regolazione capaci di redistribuire benefici economici, rafforzare la formazione continua e garantire trasparenza algoritmica, riducendo il rischio di esclusione sistemica. Inoltre, l’AI stessa può diventare uno strumento di inclusione. Se alimentata con dati pluralisti e progettata con logiche inclusive, può correggere le storture che gli esseri umani spesso ignorano.
Nina Celli, 13 giugno 2025