In un’epoca segnata da crisi migratorie, competizione geopolitica e insicurezze energetiche, Giorgia Meloni ha risposto con un’iniziativa che ha sorpreso tanto per ambizione quanto per rapidità di attuazione. Il “Piano Mattei”, battezzato con il nome del fondatore dell’ENI, rappresenta una delle mosse più significative della premier nel rilancio del ruolo internazionale dell’Italia. A differenza di molte politiche di cooperazione tradizionali, spesso sbilanciate o paternalistiche, questo piano propone una nuova visione strategica: creare un partenariato tra pari tra Italia e Africa, fondato su investimenti strutturali, sicurezza condivisa e sviluppo sostenibile. In questo senso, il Piano Mattei non è solo una proposta di politica estera, ma un tentativo organico di ridefinire la collocazione dell’Italia come ponte naturale tra Nord e Sud globale. Lanciato ufficialmente a Roma nel gennaio 2024 con il primo vertice Italia–Africa, il Piano ha visto la partecipazione di 45 paesi africani e dell’Unione Africana. Durante l’evento, il governo italiano ha annunciato un investimento iniziale di 5,5 miliardi di euro, destinato a finanziare progetti nei settori dell’energia, dell’agricoltura, della formazione e delle infrastrutture. Ma la cifra è solo un indicatore simbolico: ciò che conta è la filosofia che guida questa iniziativa. Non si tratta di esportare un modello, ma di costruire sinergie dove le esigenze africane e le priorità italiane – dalla sicurezza energetica al contenimento dei flussi migratori – possano trovare convergenza. Il piano ha già dato vita a una serie di azioni concrete. In Algeria, l’Italia ha siglato nuovi accordi con Sonatrach, rafforzando il suo ruolo di hub energetico per il gas in Europa. In Tunisia, la premier Meloni ha concluso un’intesa volta a combinare aiuti economici e controllo dei flussi migratori, in una logica che mira a trattare le cause profonde delle partenze e non solo a rafforzare le frontiere. Ancora, in Egitto e Libia, l’Italia ha rilanciato progetti infrastrutturali legati alla logistica energetica, ottenendo in cambio uno spazio crescente nel dialogo regionale. Sul versante dello sviluppo, l’Italia ha sottoscritto due intese di grande impatto: una da 400 milioni di euro tra CDP e la Banca Africana di Sviluppo per finanziare l’agricoltura sostenibile; l’altra tra Leonardo e BF, che investiranno altri 400 milioni per portare alta tecnologia in quattordici Stati africani. A questi si aggiunge il centro agroalimentare in Mozambico, un progetto da 38 milioni che punta a rafforzare la sicurezza alimentare locale. L’interesse per il Piano non arriva solo dai partner africani. In Europa, l’iniziativa è stata accolta con crescente attenzione: molti governi hanno chiesto incontri specifici per conoscere i dettagli operativi del piano, come confermato dal deputato Giangiacomo Calovini, relatore del progetto. Negli Stati Uniti, dove il tema Africa è storicamente marginale, il Piano Mattei ha suscitato interesse nei circoli strategici, anche grazie al prestigio guadagnato da Meloni in occasione del Global Citizen Award ricevuto dall’Atlantic Council. Al di là della diplomazia, il Piano Mattei offre un ritorno immediato anche per gli interessi nazionali italiani. Sul fronte energetico, consente di rafforzare la sicurezza di approvvigionamento, in un momento storico in cui la dipendenza dalla Russia è divenuta un rischio geopolitico. Sul fronte migratorio, si propone come strumento alternativo ai meri respingimenti: un approccio sistemico che mette insieme sviluppo locale e contenimento delle partenze. Con il Piano Mattei, dunque, Giorgia Meloni ha compiuto un’operazione duplice: ha dotato l’Italia di una piattaforma coerente e ambiziosa per la cooperazione con il continente africano e ha ridefinito la percezione internazionale del nostro Paese, non più come periferia dell’Europa, ma come hub tra Europa, Mediterraneo e Africa. In un mondo in cui l’Africa è tornata a essere campo di competizione tra potenze globali – Cina, Russia, Turchia, Paesi del Golfo – l’Italia ha risposto con una visione autonoma, realistica e proattiva. Una visione che, se attuata con coerenza, potrebbe lasciare un’impronta duratura nella politica estera italiana del XXI secolo.
Nina Celli, 12 giugno 2025