Per molte persone che vivono in condizioni di marginalità, discriminazione o isolamento sociale, l’anonimato online rappresenta non solo un rifugio, ma spesso l’unica porta d’accesso a forme di supporto psicologico e umano. L’anonimato consente di abbattere barriere culturali, familiari e istituzionali, rendendo possibili connessioni autentiche tra chi condivide esperienze di sofferenza e resilienza. Un esempio emblematico è offerto dalla testimonianza raccolta nell’articolo Online Anonymity Helps Transgender People and Harms Them Too. L’autrice, una donna transgender, descrive l’anonimato come uno “spazio di sopravvivenza” per chi non può vivere apertamente la propria identità. In ambienti ostili – scuole, famiglie, città piccole – l’uso di alias digitali è ciò che permette a migliaia di persone trans di entrare in contatto con comunità di supporto, accedere a risorse sanitarie, scambiarsi consigli sulla transizione, discutere di terapia e farmaci. Come dichiara un’utente: “Senza l’anonimato, non avrei mai avuto il coraggio di chiedere aiuto. Avevo bisogno di sapere che non ero sola, ma senza essere vista”. La questione si estende a tutte le forme di disagio psicosociale: ansia, depressione, disforia corporea, disturbi alimentari, autolesionismo. L’articolo pubblicato dalla Society for the Advancement of Psychotherapy evidenzia come i giovani con bassa autostima usino i social media in forma anonima per cercare conferme, evitare giudizi e ridurre il senso di esclusione. In uno studio citato nell’articolo, è stato osservato che i soggetti con autostima fragile tendono a utilizzare piattaforme online non per “esibirsi”, ma per osservare, ascoltare e confrontarsi con esperienze simili. L’anonimato diventa quindi uno strumento di coping, un modo per contenere le proprie emozioni in un contesto protetto. Un altro esempio significativo è rappresentato dalla piattaforma Reddit, analizzata in dettaglio nella ricerca accademica dell’University del North Texas. In particolare, la sezione r/Gonewild viene esaminata non solo come spazio erotico, ma come contesto in cui soggettività altrimenti invisibili – persone non conformi, con disabilità, anziani, individui queer – trovano uno spazio per esplorare la propria immagine corporea e ricevere validazione. L’anonimato non viene percepito come meccanismo di fuga, ma come tecnologia dell’empowerment: una maschera che permette di esporsi più, non meno. Anche in campo sanitario, l’anonimato ha un impatto concreto. Secondo uno studio pubblicato dal Tor Project, durante la pandemia di COVID-19 molti utenti si sono rivolti a forum anonimi per parlare di sintomi, ansie, dubbi su vaccini o esperienze ospedaliere che non avrebbero condiviso altrimenti. In contesti in cui la salute mentale è ancora un tabù, come in molte comunità religiose o rurali, l’anonimato ha permesso di aprire un canale con il mondo esterno. La sicurezza dell’anonimato, inoltre, è centrale anche per chi vive in ambienti violenti o abusanti. L’organizzazione SHE (SG Her Empowerment), in uno studio pubblicato su “Yahoo News”, sottolinea come molte donne vittime di molestie digitali abbiano cercato supporto psicologico e legale in forma anonima, per evitare ritorsioni da parte degli aggressori o familiari. L’assenza di protezione istituzionale spinge spesso le vittime a rifugiarsi in spazi virtuali anonimi dove possano almeno condividere la loro esperienza. L’anonimato, quindi, non è un lusso da smascherare, ma un dispositivo di cura collettiva. Per chi vive al margine, la possibilità di nascondersi è il primo passo per uscire dal silenzio.
Nina Celli, 10 giugno 2025