Nel mondo complesso e frammentato degli appalti, dove ogni cantiere, magazzino o servizio pubblico coinvolge spesso più imprese, fornitori, subappaltatori e cooperative, introdurre regole severe è fondamentale. Ma quando la norma finisce per scaricare l’intero peso della responsabilità su chi commissiona l’opera – anche se non ha alcuna capacità di controllo diretto – il risultato rischia di essere più paralizzante che protettivo. È questa la critica principale mossa al quarto quesito referendario, che punta a ripristinare la responsabilità solidale del committente in caso di infortuni sul lavoro o violazioni contrattuali nell’ambito di un appalto. Dal 2021, grazie a una modifica normativa introdotta durante il governo Draghi, la responsabilità del committente è limitata ai casi di dolo o colpa grave. In pratica, l’azienda che affida l’opera a un soggetto terzo risponde solo se ha ignorato o favorito consapevolmente le irregolarità. È un principio ispirato al diritto civile e alla razionalità gestionale: non puoi essere responsabile per ciò che non puoi realmente controllare. Il referendum, invece, vorrebbe tornare alla logica precedente, in cui il committente risponde in ogni caso in solido con l’appaltatore per eventuali inadempienze, infortuni, mancato pagamento di contributi o retribuzioni. Una norma rigida, che – secondo numerosi imprenditori e giuristi citati da “Il Messaggero”, “Factorial” e “Il Post” – rischia di disincentivare il ricorso agli appalti, soprattutto tra le piccole e medie imprese. Come ha dichiarato Fabio Bertolotti, titolare di un’impresa edile della provincia di Brescia, in un’intervista pubblicata su “Il Messaggero” (maggio 2025): “Con quella norma in vigore non si trovava più nessuno disposto a fare il committente. Se l’appaltatore faceva un errore, la colpa ricadeva su di te. Anche se avevi rispettato tutte le verifiche. Era un incubo”. Il problema si acuisce quando il committente è un soggetto pubblico o una PMI, che spesso non ha né le risorse né le competenze per fare un controllo capillare su ogni fase dell’esecuzione. “Chiedere a un preside, a un amministratore comunale o a un piccolo imprenditore di garantire al 100% ciò che fa il subappaltatore è tecnicamente e giuridicamente insostenibile”, ha dichiarato Antonio Tajani in occasione delle celebrazioni del Primo Maggio 2025, citato dall’“AGI”. Inoltre, il ripristino della responsabilità solidale “automatica” potrebbe causare un aumento dei costi di assicurazione, consulenza e compliance legale, soprattutto nei settori ad alta intensità di subappalto (edilizia, logistica, pulizie, sanità privata). Secondo un’analisi condotta da “Lavoce.info”, questi costi – che ricadono anche su enti pubblici – potrebbero crescere fino al 12–15%, rallentando le gare d’appalto e scoraggiando la partecipazione di imprese medio-piccole. Critiche arrivano anche da parte di alcune cooperative virtuose, che si dicono preoccupate per un effetto perverso: “Se ogni irregolarità viene fatta risalire alla testa della filiera, i committenti si rivolgeranno solo a grandi gruppi strutturati, escludendo piccole cooperative locali con cui collaborano da anni”, afferma Giovanni Perin, responsabile legale di una rete di servizi integrati nel Triveneto. Non mancano anche aspetti giuridici e costituzionali. Il principio della responsabilità personale è sancito dall’art. 27 della Costituzione. Attribuire a un soggetto una responsabilità senza prova di colpa o dolo, affermano alcuni giuristi come Luca Failla (su “ItaliaOggi”), rischia di essere una forma di responsabilità oggettiva impropria, incompatibile con lo stato di diritto. Per questi motivi, i sostenitori del “No” al referendum invitano a distinguere tra lotta alla precarietà e ingiustizia normativa. Non si può chiedere al committente di diventare “ispettore del lavoro”, né costringerlo a farsi carico di ogni errore altrui. La soluzione, dicono, sta nel rafforzare gli strumenti di vigilanza pubblica, aumentare il numero degli ispettori del lavoro e semplificare le regole di tracciabilità, non nell’alzare il livello di rischio legale per chi, in buona fede, commissiona un’opera. Il quesito appare dunque eccessivo, squilibrato e potenzialmente paralizzante. Intende tutelare chi lavora – un obiettivo sacrosanto – ma lo fa senza tenere conto della complessità organizzativa, generando un possibile effetto boomerang: meno appalti, più chiusure, meno lavoro.
Nina Celli, 7 maggio 2025