In teoria, richiedere una motivazione scritta per ogni contratto a termine può sembrare un principio di responsabilità. Ma in pratica, per chi opera nei settori a forte rotazione o a carattere stagionale, questa misura si tradurrebbe in un ostacolo operativo e occupazionale. È questo il cuore della critica al quesito referendario che propone di reintrodurre l’obbligo di “causale” per tutti i contratti a tempo determinato, anche sotto i 12 mesi. La flessibilità, sostengono i contrari, non è sempre sinonimo di abuso. In molti comparti economici – come il turismo, l’agricoltura, il commercio stagionale, la ristorazione, l’intrattenimento – l’andamento della domanda è fortemente variabile, legato a fattori climatici, festività, fiere, eventi o picchi imprevisti. In questi contesti, dover specificare e giustificare una causale documentabile può diventare un vincolo burocratico che scoraggia le assunzioni o espone le imprese a rischi di contenzioso per errori formali o interpretazioni divergenti. In un’analisi pubblicata da “Factorial”, molti imprenditori riportano l’esperienza vissuta prima del 2018 (quando la causale era obbligatoria): “Le causali ci mettevano sotto pressione, perché non sempre è possibile dimostrare la ‘temporaneità’ con precisione. Se la motivazione veniva contestata, rischiavamo di dover trasformare il contratto in tempo indeterminato per vizi formali. Molti colleghi hanno smesso di assumere”. Anche Confcommercio e Confartigianato, in dichiarazioni rilanciate da “Il Messaggero” e “AGI”, hanno espresso preoccupazione per questo quesito. “La normativa senza causale – sostengono – ha consentito negli ultimi anni di aumentare le occasioni di lavoro temporaneo, soprattutto per giovani, studenti, lavoratori extra nei periodi di picco. Obbligare a formalizzare ogni contratto rischia di far cadere molte assunzioni nella zona grigia dell’irregolarità o, peggio, nel non-contratto”. C’è poi la questione delle piccole imprese e degli studi professionali, che non dispongono di uffici legali interni o consulenti in grado di redigere causali blindate. Un semplice errore di formulazione – come scrivere “motivi organizzativi” invece di “aumento temporaneo della clientela per festività pasquali” – può aprire la porta a vertenze costose, che scoraggiano le assunzioni e favoriscono il ricorso a forme più opache di impiego (collaborazioni, false partite IVA, lavoro nero). I dati raccolti da “Lavoce.info” mostrano che tra il 2019 e il 2023, proprio grazie alla possibilità di stipulare contratti a termine senza causale sotto i 12 mesi, il numero di nuove assunzioni trimestrali nei settori stagionali è cresciuto del 16%, con picchi del +25% nel turismo e +18% nel commercio natalizio. Secondo l’Osservatorio INPS, queste forme di lavoro – pur temporanee – rappresentano una porta di ingresso nel mondo del lavoro, specialmente per studenti e giovani in transizione. Critiche giungono anche da Italia Viva e Forza Italia, che parlano di “follia burocratica” e “reintroduzione del formalismo dannoso”. Tajani ha dichiarato: “Bisogna distinguere tra flessibilità cattiva e flessibilità utile. Bloccare il contratto breve senza causale significa punire proprio quei settori che faticano a restare competitivi, che assumono perché devono rispondere al mercato, non per precarizzare”. Non tutti i lavoratori, poi, vivono la causale come una protezione. In un’inchiesta riportata da “Il Post”, molti giovani dichiarano di preferire contratti semplici, rinnovabili, senza troppi vincoli formali, soprattutto quando cercano un impiego temporaneo per mantenersi negli studi o fare esperienza. Va ricordato, inoltre, che l’obbligo di causale non elimina il precariato, ma lo rende più difficile da gestire legalmente. Se un’azienda intende evitare la stabilizzazione, può comunque interrompere il contratto, cambiare intestazione, esternalizzare. Il rischio, come ammonisce l’Istituto Bruno Leoni in un position paper del 2025, è che il lavoro regolare venga sostituito da soluzioni più informali, più precarie e meno tutelanti. Per chi si oppone al quesito, quindi, la reintroduzione della causale è una buona idea nel principio, ma pessima nella pratica: rallenta il dinamismo, ostacola l’occupazione nei settori a ciclo breve, penalizza proprio chi crea lavoro. Se si vuole tutelare i lavoratori, concludono, la strada è rafforzare i controlli e i contratti collettivi, non riscrivere leggi che rendono il lavoro temporaneo un terreno minato.
Nina Celli, 7 maggio 2025