Per i promotori del “No” al referendum abrogativo sull’articolo 18, la proposta di eliminare il contratto a tutele crescenti non rappresenta un progresso, ma un ritorno a un passato che aveva già mostrato i suoi limiti. L’impianto normativo del Jobs Act, pur con criticità, ha avuto – secondo numerosi esperti e osservatori indipendenti – il merito di introdurre maggiore chiarezza nei rapporti tra imprese e lavoratori, e di ridurre un contenzioso giudiziario percepito da molti imprenditori come imprevedibile, lungo e costoso. Una delle critiche centrali mosse alla proposta referendaria è che essa rischia di scoraggiare le assunzioni nelle imprese, in particolare piccole e medie aziende, che rappresentano oltre il 90% del tessuto produttivo italiano. Secondo l'analisi pubblicata sul portale “Factorial” e ripresa da testate come “Il Messaggero” e “Wired”, il ritorno della reintegra obbligatoria nei casi di licenziamento illegittimo reintroduce una forte incertezza giuridica: il datore di lavoro non potrà più fare affidamento su un meccanismo “prevedibile” (l’indennizzo economico), ma sarà nuovamente esposto a sentenze variabili, con possibili obblighi di reintegro anche dopo anni. Questo scenario, come sottolineano alcune associazioni datoriali, rischia di far crescere la ritrosia all’assunzione a tempo indeterminato, specialmente tra le microimprese. Il paradosso, evidenzia “Il Post”, è che proprio i soggetti che il referendum vuole tutelare – i giovani, i precari, i lavoratori delle piccole realtà – potrebbero trovarsi penalizzati da una norma che rende meno attraente il contratto stabile. Tuttavia, il nodo non è solo occupazionale: è anche culturale e giuridico. Il Jobs Act, secondo alcuni giuristi citati da “Lavoce.info”, ha introdotto una concezione più “contrattuale” del rapporto di lavoro, in linea con molti altri paesi europei. La reintegra – sostengono i critici – rappresenta un residuo di una visione paternalistica, che affida al giudice il potere di “costringere” un imprenditore a tenere con sé un dipendente anche quando il rapporto è definitivamente compromesso. “Non si può forzare la fiducia lavorativa con una sentenza”, ha dichiarato nel 2025 il giuslavorista Marco Biagiotti in un’intervista ripresa da “ItaliaOggi”. Dal punto di vista economico, l’indennizzo previsto dal contratto a tutele crescenti è ritenuto più conforme al principio del bilanciamento tra le parti. Come evidenziato da “Lavoce.info” in uno studio sulle imprese tra 2015 e 2019, la maggiore prevedibilità delle norme sui licenziamenti ha portato a investimenti in automazione e formazione, con un incremento medio della produttività del +1,5%. Reintrodurre un meccanismo giudiziario aleatorio, sostengono alcuni economisti, potrebbe invertire questa dinamica e rafforzare un clima di conservatorismo gestionale. Anche sul piano politico e sociale, diversi esponenti del centro moderato, tra cui Renzi, Calenda e Tajani, hanno definito il referendum “una battaglia ideologica fuori dal tempo”. Secondo Italia Viva, “l’articolo 18 era già stato superato dalla realtà economica e dalla giurisprudenza costituzionale. Il ritorno indietro non favorisce i lavoratori: li rende solo più incerti, perché nessuno vorrà assumerli”. Non mancano critiche al modello di reintegra come meccanismo “binario”: dentro o fuori. Secondo “Factorial”, un sistema più evoluto dovrebbe puntare su conciliazioni strutturate, supporto alla ricollocazione e welfare attivo, piuttosto che su soluzioni forzate che possono aggravare il conflitto e minare la fiducia nei luoghi di lavoro. Per chi sostiene il “No” al quesito referendario sull’articolo 18, dunque, la proposta abrogativa è retorica e pericolosa: alimenta un’illusione di tutela, ma rischia di tradursi in nuove esclusioni. Una protezione efficace, dicono, non si misura dal numero dei reintegri, ma dalla qualità del lavoro, dalla capacità di adattamento del sistema e dalla sostenibilità dell’impresa. Tornare all’articolo 18 significherebbe ignorare le lezioni del passato e indebolire, non rafforzare, i diritti dei lavoratori.
Nina Celli, 7 maggio 2025