In Europa, dove le istituzioni comunitarie hanno scelto un modello di sviluppo fondato su diritti, trasparenza e concorrenza, la regolazione è vista non come un ostacolo, ma come un’architettura abilitante, capace di strutturare il mercato e renderlo più giusto, aperto e resiliente. E i numeri – e le reazioni dei grandi attori globali – confermano che questa visione, se ben implementata, può trasformarsi in una leva di crescita sistemica. Uno dei principali esempi è il Digital Markets Act (DMA). Il regolamento, entrato in vigore nel 2024, impone regole stringenti ai cosiddetti gatekeeper, le piattaforme che controllano l’accesso al mercato digitale europeo. Apple, Meta, Google: aziende che operano in una posizione dominante e che, per anni, hanno modellato l’ecosistema digitale secondo logiche di chiusura e autointegrazione. Con il DMA, queste imprese sono ora obbligate a garantire l’interoperabilità tra servizi, a non favorire i propri prodotti e a permettere l’utilizzo di sistemi di pagamento alternativi nelle app. Per la prima volta, gli sviluppatori europei – e non solo – possono accedere a un terreno di gioco meno distorto. La Commissione ha già avviato procedimenti contro Apple e Meta, dimostrando che le regole non sono solo scritte, ma anche fatte rispettare. La stessa logica guida il Digital Services Act (DSA), che pone fine all’opacità algoritmica e alla gestione arbitraria dei contenuti online. Le piattaforme devono rendere trasparenti i criteri di raccomandazione, fornire accesso ai dati ai ricercatori indipendenti e soprattutto rimuovere contenuti illegali in modo rapido ed efficace. Un cambio di paradigma, che rafforza la fiducia dei cittadini europei e crea le condizioni per un ecosistema informativo più sicuro e responsabile. Ma non è solo una questione di regole per i giganti. L’UE sta costruendo le fondamenta per una nuova infrastruttura economica, basata su asset intangibili ma strategici: i dati. Con il Data Governance Act (DGA), Bruxelles ha avviato la creazione di spazi dati europei comuni, dove istituzioni pubbliche, imprese e ricerca possono condividere informazioni in modo sicuro, tracciabile e conforme ai principi etici. Settori come l’energia, la salute e la mobilità saranno potenziati da questa circolazione controllata del sapere digitale, che non dipende più da server statunitensi o infrastrutture cinesi. Questa trasformazione è accompagnata da una visione normativa coerente, che si fonda su un metodo regolatorio avanzato. Secondo l’OECD, l’UE è una delle poche entità globali ad adottare un approccio sistemico alla regolazione: valutazioni d’impatto ex ante, consultazioni pubbliche digitali, e meccanismi di revisione ex post garantiscono che ogni nuova norma sia orientata all’efficacia, alla trasparenza e alla sostenibilità nel tempo. Il risultato è un mercato che, pur con tutte le sue difficoltà, offre garanzie, chiarezza e opportunità per gli innovatori che non vogliono solo crescere, ma farlo in un contesto regolato, etico e rispettoso dei diritti. Le aziende digitali europee sanno cosa aspettarsi. I consumatori sono più tutelati. Le piattaforme sono responsabilizzate. Così, l’intero ecosistema guadagna in resilienza sistemica, in un’epoca in cui la fiducia è la moneta più rara. In questo scenario, la regolazione non è il contrario della libertà d’impresa. È la condizione perché l’impresa possa prosperare senza schiacciare i più piccoli. È l’infrastruttura invisibile che permette all’innovazione di emergere, evolvere e consolidarsi. L’Europa, quindi, ha scelto una via più lenta, forse, ma più solida. Una via che scommette non sulla rapidità della disruption, ma sulla qualità della costruzione digitale. E in un mondo che si interroga sempre più su come rendere sostenibile l’innovazione, questa potrebbe essere la scelta vincente.
Nina Celli, 30 aprile 2025