Per decenni la crescita economica è stata misurata in termini di quantità prodotta, volumi esportati o saldo commerciale. Ora, la nuova visione proposta dall’Unione Europea nel quadro del Clean Industrial Deal, ridefinisce la competitività come capacità di innovare, decarbonizzare e guidare la transizione tecnologica globale. In questo scenario, l’industria non è più un ostacolo alla sostenibilità, ma uno dei principali veicoli per realizzarla. Secondo i dati diffusi nel marzo 2025 dal Competitiveness Compass della Commissione, l’UE ha avviato un piano per installare 100 GW di capacità rinnovabile all’anno, portare l’elettrificazione al 32% dei consumi entro il 2030 e raggiungere risparmi energetici annuali per 260 miliardi € entro il 2040. L’obiettivo è diventare la prima economia a impatto climatico zero, ma anche la più avanzata nella produzione di tecnologie verdi. È una risposta strutturale alla pressione esercitata dalla concorrenza internazionale — in particolare da Stati Uniti (con il piano IRA) e Cina — che rischia di attrarre investimenti europei e mettere in crisi la manifattura continentale. In questo contesto, l’Italia ha assunto un ruolo rilevante nella rinegoziazione delle regole europee, in particolare nel settore dell’automotive. Il ministro Adolfo Urso ha guidato un fronte favorevole alla revisione anticipata del divieto sui motori termici, ottenendo che la valutazione sulla neutralità tecnologica fosse anticipata al 2025 e che venissero inclusi biocarburanti e idrogeno verde tra le tecnologie ammesse. Questo ha permesso a case automobilistiche come Stellantis e ai fornitori italiani di componentistica (Anfia) di mantenere margini di competitività rispetto a competitor asiatici e americani (“La Repubblica”, 2025). Ma non è solo l’automotive a essere coinvolto. Il Clean Industrial Deal prevede anche la creazione di un “fondo per l’energia accessibile” e la possibilità per gli Stati membri di utilizzare in modo più flessibile gli aiuti di Stato per la decarbonizzazione. In Germania, ad esempio, è stato approvato un piano da 5 miliardi di euro per i “Contratti per Differenza sul Carbonio” (CCfD), che compensano le imprese per i costi extra sostenuti nel passaggio a processi produttivi a basse emissioni (“Clean Energy Wire”, 2025). Un’iniziativa analoga è allo studio in Italia, in particolare per i settori energivori come acciaio, vetro e carta, con attenzione alle tecnologie di cattura e stoccaggio della CO₂ (CCS). Nel campo dell’alta tecnologia e delle filiere critiche, l’Italia partecipa a diversi progetti europei per la produzione di semiconduttori sostenibili, materiali avanzati e fotovoltaico di nuova generazione. Con oltre 1 miliardo di euro di investimenti pubblico-privati attivati tra il 2025 e il 2030, i partenariati Horizon Europe stanno consentendo a numerose imprese italiane di entrare nelle catene del valore europee della tecnologia green (“La Repubblica”, 2025). La nuova competitività è anche una questione di semplificazione normativa e riduzione dei costi regolatori. Con l’introduzione di misure che esonerano l’80% delle PMI italiane dagli obblighi ESG complessi, l’UE ha creato un ambiente più favorevole all’innovazione industriale anche per le imprese di minori dimensioni. Le imprese italiane — soprattutto nei distretti del Nord e nei poli dell’Emilia-Romagna, del Veneto e della Lombardia — stanno reagendo positivamente, sviluppando prodotti e processi che abbinano digitalizzazione, efficienza e sostenibilità. Il Green Deal, riformulato nel Clean Industrial Deal, rappresenta così una strategia industriale a tutto tondo. Supera la logica degli obblighi climatici imposti dall’alto e diventa un programma di rilancio della manifattura europea, con una visione strategica che integra energia, ambiente e innovazione.
Nina Celli, 28 marzo 2025