Il Green Deal europeo è stato accolto con entusiasmo nel 2019 come il progetto politico più ambizioso della storia dell’Unione in materia ambientale. Tuttavia, nel corso del tempo — e in particolare nell’ultimo biennio — si è assistito a una crescente serie di rallentamenti normativi, revisioni al ribasso e compromessi politici, che hanno progressivamente indebolito la portata trasformativa dell’iniziativa. Questi aggiustamenti, spesso presentati come “pragmatici” o “necessari per salvaguardare la competitività industriale”, stanno però sollevando dubbi crescenti sulla coerenza e credibilità dell’Unione Europea nel perseguire i suoi obiettivi climatici. Uno degli episodi più emblematici è la decisione, presa nel marzo 2025, di ammorbidire i target di emissione per il settore automobilistico. In origine, le nuove regole prevedevano un limite stringente di emissioni per il 2025, con sanzioni severe in caso di superamento. Tuttavia, sotto pressione di governi come l’Italia e la Germania — e in seguito a forti richieste dell’industria — la Commissione ha deciso che le emissioni saranno calcolate su una media triennale (2025–2027) anziché sull’anno singolo. Questo “slittamento tecnico” permetterà ai costruttori di evitare fino a 15 miliardi di euro di multe, secondo le stime della DG CLIMA (“Politico”, 2025). Secondo la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, si tratta di una “scelta pragmatica” per evitare effetti recessivi su un settore chiave dell’economia europea. Ma le ONG ambientaliste non sono d’accordo: Transport & Environment, ad esempio, accusa la Commissione di “premiare i ritardatari” e di “lasciare l’Europa indietro rispetto alla Cina nella corsa alla mobilità elettrica”. In Italia, il governo ha rivendicato con orgoglio il proprio ruolo in questa revisione normativa. Il ministro Urso ha sottolineato l’importanza di preservare l’industria nazionale e la necessità di includere biocarburanti ed e-fuels nel mix tecnologico ammesso dalla normativa. Anche se questi elementi possono effettivamente offrire margini di flessibilità, molti osservatori temono che la proliferazione di deroghe e revisioni renda meno prevedibile e meno credibile il percorso europeo verso il 2035, data simbolo dello stop ai motori termici. Ma il fenomeno non riguarda solo il settore auto. Un altro esempio significativo è rappresentato dal cosiddetto Pacchetto Omnibus, presentato nel febbraio 2025 dalla Commissione come parte del Clean Industrial Deal. Il pacchetto include proposte per sospendere, modificare o alleggerire diverse normative ESG e ambientali, tra cui la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CS3D) e alcune disposizioni della tassonomia verde. Le modifiche prevedono, ad esempio, l’esenzione delle PMI da obblighi di trasparenza, la possibilità di limitare la verifica della filiera solo ai fornitori diretti e la riduzione della responsabilità civile per le aziende che non rispettano i criteri di sostenibilità. Sebbene alcune misure siano giustificate dalla necessità di evitare eccessi burocratici, le principali ONG europee — come WWF e Germanwatch — hanno lanciato l’allarme: si rischia di creare una “finanza verde fittizia”, dove le etichette non corrispondono a un reale impatto ambientale. In Italia, queste semplificazioni sono state accolte con favore da molte associazioni di categoria, ma hanno suscitato preoccupazioni tra gli attivisti e gli osservatori del mercato finanziario, che vedono il rischio di un greenwashing sistemico. Secondo alcuni analisti, la credibilità dell’intera architettura ESG europea è in bilico se i parametri vengono adattati continuamente alle esigenze politiche contingenti. A livello comunicativo, questa fase di compromessi ha indebolito il messaggio pubblico del Green Deal, rendendo più difficile mobilitare il consenso sociale attorno alla transizione ecologica. Laddove nel 2020 lo slogan era “Fit for 55”, oggi le priorità sembrano frammentate: competitività, difesa, stabilità energetica, ma non sempre clima. La stessa revisione del target climatico 2040 è slittata più volte per motivi elettorali e politici, lasciando un vuoto normativo che rischia di bloccare gli investimenti verdi. Dunque, se è vero che una transizione sostenibile deve essere realistica e adattabile, è altrettanto vero che troppe eccezioni svuotano l’eccezione di valore. Senza una direzione chiara, vincolante e trasparente, il Green Deal rischia di diventare una promessa a geometria variabile, con effetti gravi sulla sua efficacia, sulla fiducia degli attori economici e sul sostegno dell’opinione pubblica.
Nina Celli, 27 marzo 2025