Il Green Deal europeo vuole rispondere all’urgenza climatica ma vuole anche essere una leva economica. L’idea centrale è quella di trasformare la transizione ecologica in una occasione di crescita industriale, modernizzazione tecnologica e rilancio produttivo. Non si tratta più di scegliere tra “ambiente” ed “economia”, ma di realizzare un nuovo paradigma dove le due dimensioni si rafforzano a vicenda. Il Green Deal non è un freno allo sviluppo, bensì un acceleratore strutturale di lungo periodo. Nel 2025, la Commissione Europea ha presentato il Clean Industrial Deal, un’evoluzione del Green Deal centrata su competitività e innovazione. Il piano prevede oltre 100 miliardi di euro di investimenti pubblici-privati destinati a settori strategici come l’idrogeno verde, le tecnologie solari, l’eolico offshore, la cattura e stoccaggio della CO₂ (CCS), la produzione di batterie e semiconduttori verdi (“Sciences Po”, 2025). L’obiettivo dichiarato è rilanciare l’autonomia strategica europea, riducendo la dipendenza da fornitori esterni — in particolare Cina e USA — e rafforzando la resilienza produttiva dell’Unione. Uno degli strumenti più significativi di questo rilancio è rappresentato dalla creazione di nuove filiere industriali verdi, che spaziano dalla produzione al riciclo. Il caso della fonderia Rheinwerk in Germania è emblematico: l’azienda ha chiuso l’attività primaria per i costi energetici elevati, ma ha riconvertito l’impianto al riciclo dell’alluminio, riducendo i consumi del 95% e le emissioni del 90%. Questo dimostra che la riconversione green può essere un fattore competitivo, a patto che venga accompagnata da investimenti mirati e sostegni pubblici (“Politico”, 2025). In questo scenario, anche l’Italia sta cercando di giocare un ruolo di primo piano. Nel marzo 2025, la Commissione ha annunciato tre grandi partenariati industriali europei sotto il programma Horizon Europe, con un finanziamento complessivo di oltre 1 miliardo di euro. L’Italia è coinvolta in modo diretto in tutti e tre: 240 milioni di euro per il fotovoltaico, per rilanciare la filiera europea dei pannelli solari; 250 milioni di euro per materiali innovativi, inclusi semiconduttori e materiali sostenibili per edilizia e trasporti; 30 milioni per il settore tessile, destinati alla transizione verso un modello circolare, con focus su Made in Italy e produzione locale (“La Repubblica”, 2025). Questi investimenti rappresentano un’opportunità straordinaria per il tessuto produttivo italiano, in particolare per le PMI innovative e per i distretti industriali specializzati. L’obiettivo è duplice: agganciare la traiettoria europea della transizione verde e rilanciare la competitività tecnologica nazionale. Il Clean Industrial Deal prevede infatti, tra le misure principali, un fondo per l’energia accessibile, che mira a contenere i costi energetici per le imprese e a incentivare la domanda di tecnologie verdi — due aspetti cruciali per l’Italia, storicamente penalizzata da alti prezzi dell’energia. L’Italia potrà inoltre beneficiare della revisione dei criteri di aiuto di Stato, che consentirà agli Stati membri di co-finanziare progetti verdi con maggiore flessibilità. È stato infatti sbloccato il piano tedesco da 5 miliardi di euro per i “Contratti per Differenza” nel settore industriale, con l’intento di compensare i costi della decarbonizzazione. Una misura simile è allo studio anche in Italia, sotto l’egida del nuovo piano nazionale per l’industria verde. La creazione del nuovo Indice Green Deal europeo, basato su 26 indicatori di performance ambientale, economica e sociale, ha permesso di mappare i progressi dei singoli Stati membri. Paesi come Svezia, Estonia e Austria guidano la transizione, ma anche l’Italia sta recuperando terreno, soprattutto nei comparti innovativi e nei settori trainanti come l’agroindustria e l’automotive “pulito” (“Elsevier”, 2025). Il Green Deal europeo, dunque, nella sua dimensione industriale, si configura come la più grande occasione di modernizzazione produttiva per l’Italia dagli anni ‘90.
Nina Celli, 27 marzo 2025