La crisi energetica scatenata dall’invasione russa dell’Ucraina nel 2022 ha rappresentato un punto di svolta per le politiche energetiche europee. Se fino a quel momento la transizione verde era percepita prevalentemente come una strategia climatica, con il Green Deal europeo essa si è trasformata in un progetto di sovranità strategica, economica e geopolitica. A partire dal 2023, infatti, il piano europeo ha assunto il ruolo di pilastro per la riduzione della dipendenza dai combustibili fossili e per la costruzione di un nuovo paradigma energetico. Secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA, 2025), l’UE ha registrato un calo delle emissioni del 37% rispetto ai livelli del 1990, con un’accelerazione notevole negli ultimi anni grazie all’espansione delle rinnovabili, all'efficienza energetica e a un minor utilizzo di carbone e gas naturale. Obiettivo dichiarato: raggiungere una riduzione del 55% entro il 2030 e la neutralità climatica al 2050 (EEA, 2025). Un traguardo che, come sottolineano i documenti ufficiali, non è solo ambientale, ma anche profondamente economico: nel solo 2023 l’UE ha risparmiato 60 miliardi di euro in importazioni fossili, principalmente grazie alla minor dipendenza da forniture russe. Il Clean Industrial Deal presentato nel 2025 costituisce un’evoluzione del Green Deal in chiave industriale. Secondo l’analisi di “Sciences Po”, la strategia punta non solo a decarbonizzare l’economia, ma anche a rilanciare la produzione europea di tecnologie strategiche, riducendo la vulnerabilità a shock esterni e aumentando la resilienza interna. Il piano prevede un risparmio energetico stimato in 130 miliardi €/anno entro il 2030 e investimenti per oltre 100 miliardi € in clean tech, come pannelli solari, idrogeno verde, pompe di calore e batterie (“Sciences Po”, 2025). L’Italia, sebbene in ritardo rispetto ai Paesi guida, sta cercando di allinearsi a questa traiettoria. Il programma europeo per l’installazione di 8,6 milioni di pompe di calore entro il 2030 vede il nostro Paese come uno dei principali beneficiari potenziali, anche se nel 2024 il settore ha attraversato una crisi: aziende storiche come Argoclima hanno dovuto ricorrere alla cassa integrazione per mancanza di domanda interna e incertezza normativa (“La Repubblica”, 2025). Tuttavia, la prospettiva di medio termine rimane positiva: il Green Deal europeo prevede strumenti di accompagnamento e fondi per la riconversione produttiva, soprattutto per i settori industriali più esposti. Un altro elemento rilevante è la connessione tra energia e sicurezza strategica. La Commissione Europea, nelle linee guida del Clean Industrial Deal, ha evidenziato come la produzione di energia da fonti rinnovabili interne rappresenti oggi un tema di autonomia politica, riducendo la vulnerabilità dell’Unione a pressioni geopolitiche e garantendo prezzi più stabili nel lungo periodo. A questo si aggiunge la volontà di creare un mercato interno europeo dell’energia più integrato, con interconnessioni infrastrutturali tra Paesi membri e una governance comune. In questo contesto, la sovranità energetica diventa un volano di crescita industriale, un catalizzatore per l’innovazione tecnologica e un baluardo contro la disgregazione politica interna. È anche un tema identitario: costruire un’Europa capace di produrre, consumare e immagazzinare energia verde senza dipendere da terzi significa rafforzare l’unità politica del continente. Il Green Deal europeo — e in particolare la sua declinazione energetica — si conferma quindi come uno strumento multidimensionale: ambientale, industriale e strategico. In un mondo frammentato e instabile, l’indipendenza energetica dell’UE diventa una condizione per ogni altra forma di autonomia.
Nina Celli, 27 marzo 2025