Elon Musk pare convinto che la libertà di parola sia un valore assoluto, non negoziabile. Non si tratta di una semplice dichiarazione di principio, ma di una battaglia concreta, vissuta nell’arena mediatica globale. Con l’acquisizione di Twitter – oggi X – Musk ha compiuto una delle mosse più controverse e insieme più coerenti della sua carriera: prendere il controllo del “foro romano” del XXI secolo per riportarlo, nelle sue intenzioni, al centro del dibattito aperto. “L’uccellino è libero”, scrisse in un tweet secco, appena acquisita la piattaforma. Era l’ottobre del 2022. In pochi caratteri, un manifesto. Musk ha dichiarato di voler trasformare X in uno spazio di espressione autentica, non filtrato da logiche ideologiche, politiche o commerciali. Ha reintrodotto account bannati, ha ridotto le politiche di moderazione dei contenuti e ha avviato un programma di verifica basato su abbonamento, per rendere più trasparente e meritocratica l’identità digitale. La sua posizione non è priva di rischi. Eppure, è difficile negare che in un’epoca di censura algoritmica, echo chamber e polarizzazione estrema, Musk abbia almeno posto le domande giuste: chi decide cosa si può dire? Chi modera i moderatori? È accettabile che pochi centri privati di potere digitale possano silenziare leader, intellettuali, attivisti? Musk si è attirato critiche feroci per aver riportato online figure come Donald Trump o alcuni pensatori “anti-sistema”. Ma è innegabile che il suo intervento abbia riacceso il dibattito sul pluralismo, sull’arbitrarietà delle censure e sull’opacità degli algoritmi. Per molti, anche tra i suoi detrattori, questa è stata una scossa salutare al sistema. Secondo il “New York Times”, l’acquisizione di X da parte di Musk ha “scardinato lo status quo dell’industria tech e costretto tutti a ripensare il rapporto tra piattaforme e democrazia”. Il “Washington Post” ha parlato di “una ridefinizione radicale dello spazio pubblico digitale”. E per alcuni filosofi del digitale, come Evgeny Morozov, Musk rappresenta “l’unico attore capace di rompere davvero l’oligopolio del pensiero algoritmico”. Certo, le implicazioni sono complesse. La piattaforma è diventata terreno fertile anche per odio, disinformazione e polarizzazione. Ma anche in questo caso, Musk ha reagito in modo coerente con la sua visione: ha dichiarato che combattere il male dell’informazione non può passare per il silenzio, ma per il confronto. Ha lanciato xAI e la chatbot Grok con l’intento dichiarato di promuovere “la verità”, e ha reso il modello open source per favorire la trasparenza. Per Musk, la libertà d’espressione è un bene supremo: imperfetto, rischioso, ma insostituibile. È il fondamento di ogni progresso, il prerequisito dell’innovazione. La sua gestione di X può non piacere, ma risponde a una filosofia chiara: meglio un dibattito caotico che una voce unica. Meglio una piazza rumorosa che un algoritmo silenzioso. In un mondo dove i confini tra informazione e manipolazione si fanno sempre più labili, la sua sfida alla cultura del controllo è un gesto potente, non solo provocazione.
Nina Celli, 25 marzo 2025