Dietro la retorica del genio creativo, del visionario infaticabile e del pioniere dell’innovazione, si nasconde un Elon Musk molto diverso. Un capo spesso descritto come brutale, impulsivo, incapace di empatia. Per molti dei suoi ex dipendenti, lavorare per lui è stato un privilegio dal punto di vista professionale, ma un inferno da quello umano. Le sue aziende sono diventate sinonimo di prestazioni straordinarie, ma anche di stress cronico, instabilità, licenziamenti di massa e ambienti di lavoro tossici. Nel novembre 2022, dopo l’acquisizione di Twitter, Musk ha licenziato oltre il 70% dei dipendenti in pochi giorni, spesso senza preavviso e via email. Interi team – dalla moderazione dei contenuti alla sicurezza informatica – sono stati smantellati. L’obiettivo dichiarato: rendere X una “macchina snella”, libera da burocrazia. Il risultato, secondo il “New York Times”, è stato un’azienda caotica, impreparata a gestire l’odio online e il crollo degli introiti pubblicitari. Non si tratta di un caso isolato. Tesla è stata più volte citata in giudizio per discriminazioni razziali e sessuali, soprattutto nello stabilimento di Fremont, California. Alcuni dipendenti afroamericani hanno denunciato insulti sistematici, ambienti ostili e l’assenza di tutele. A ottobre 2023, un tribunale ha condannato Tesla a pagare 3,2 milioni di dollari per molestie razziali sul luogo di lavoro. E secondo l’agenzia Reuters, almeno 4 denunce federali sono ancora in corso per episodi simili. Musk stesso non ha mai nascosto la sua visione “darwiniana” del lavoro. In un’intervista interna a SpaceX, ha dichiarato che “chi non regge il ritmo non è adatto a lavorare con me”. Ha richiesto la presenza fisica obbligatoria in ufficio per almeno 40 ore a settimana, pena il licenziamento. Ha cancellato interi reparti in Tesla dopo scontri personali con alcuni manager. Secondo “Business Insider”, questo modello "hardcore" ha portato anche a una fuga di talenti di alto livello, che hanno lasciato le sue aziende per stress, burnout e incompatibilità culturale. Il suo stile autoritario si riflette anche nelle scelte comunicative. Ha licenziato ingegneri di X in diretta social perché “avevano criticato le sue decisioni”. Ha ridicolizzato pubblicamente ex dipendenti con disabilità. Ha trasformato l’ambiente aziendale in una sorta di culto della personalità, in cui ogni parola sua è legge e ogni dissenso è visto come tradimento. Secondo il “Guardian”, Elon Musk rappresenta “il prototipo del capo narcisista dell’era tech: brillante, ma incapace di relazionarsi umanamente con i propri collaboratori”. La “Washington Post” aggiunge che “l’efficienza apparente delle sue aziende nasconde una cultura organizzativa instabile, dominata dalla paura e dall’arbitrio”. Le conseguenze non sono solo interne. Quando un leader accentra così tanto potere nelle proprie mani e lo esercita in modo impulsivo, le sue decisioni possono avere ricadute globali. Un tweet di Musk può far crollare le criptovalute. Un suo intervento sulla guerra in Ucraina può cambiare il corso di una trattativa diplomatica. È giusto che una sola persona abbia un simile potere, privo di controlli? Il mito dell’imprenditore-genio ha un prezzo. E quel prezzo, spesso, lo pagano i suoi dipendenti, la qualità del lavoro, e il principio stesso di responsabilità manageriale. Dietro l’aura da pioniere, Elon Musk resta anche un uomo che ha creato imperi sul sacrificio, l’instabilità e la paura.
Nina Celli, 25 marzo 2025