Cancel Culture? Lo spazio pubblico tra resistenze e rimozioni
Il volume Cancel Culture? Lo spazio pubblico tra resistenze e rimozioni rappresenta una ricca riflessione multidisciplinare su un fenomeno contemporaneo complesso e polarizzante, la cosiddetta cancel culture. Attraverso contributi di diversi studiosi, il testo esamina come questa pratica influisca sulla memoria storica, sulle dinamiche identitarie e sulla sfera pubblica. Gli autori concordano sul fatto che Tuttavia, invitano a un approccio più equilibrato, che eviti eccessi censori e promuova la comprensione reciproca.
La Cancel Culture e il conflitto memoria-identità
Il cuore dell’analisi esplora il ruolo della cancel culture nella rinegoziazione della memoria collettiva. Fabio Dei, in uno dei saggi centrali, sottolinea: "La cancel culture non è solo un atto di rifiuto, ma una strategia per riscrivere il passato alla luce di valori e sensibilità contemporanei". Il fenomeno viene analizzato come un processo di contestazione di simboli storici percepiti come oppressivi, come statue di colonizzatori o rappresentazioni culturali discriminatorie. Secondo Dei, questo tipo di intervento non deve essere confuso con la censura, ma interpretato come un’opportunità per rivedere narrazioni consolidate.
La dimensione mediatica
Maddalena Cannito ed Eugenia Mercuri esplorano il ruolo centrale dei media nel plasmare la percezione pubblica della cancel culture. La loro analisi evidenzia come i media spesso rappresentino il fenomeno in termini estremi, amplificando il senso di paura e polarizzazione. "La narrazione mediatica tende a trasformare episodi marginali di censura in crisi culturali, oscurando le questioni di fondo legate alla giustizia sociale". Questa dinamica mediatica, osservano le autrici, finisce per oscurare il dibattito sui veri obiettivi della cancel culture, quali la lotta alle discriminazioni e la promozione dell’inclusività.
Decolonizzazione e giustizia Sociale
Miguel Mellino interpreta la cancel culture come parte di un più ampio processo di decolonizzazione culturale. L’autore si concentra su movimenti che mirano a rimuovere monumenti o simboli del passato coloniale, sottolineando il loro valore politico e simbolico: "La rimozione di un monumento non è cancellazione della storia, ma un atto di contestazione di una narrazione oppressiva". L’autore lega queste pratiche alle richieste di giustizia delle comunità marginalizzate, che chiedono un riconoscimento e una revisione storica delle loro esperienze.
Politiche Identitarie e Strategie della Memoria
Un altro tema centrale è l’intersezione tra cancel culture e politiche identitarie. Bruno Montesano analizza come il fenomeno rifletta tensioni sociali profonde legate a razza, genere e classe. Egli afferma: "La cancel culture è un sintomo delle disuguaglianze sistemiche, una forma di resistenza collettiva contro un sistema che esclude e marginalizza". Montesano esplora inoltre le connessioni tra cancel culture e marxismo, evidenziando come entrambe le prospettive condividano un obiettivo comune: mettere in discussione le strutture di potere esistenti.
Il senso della storia
Marcello Flores offre una prospettiva storica, analizzando la cancel culture alla luce di pratiche simili del passato. L’autore sostiene che il fenomeno non sia una novità assoluta, ma si inserisca in una lunga tradizione di revisione culturale e politica: "La storia è sempre stata soggetta a reinterpretazioni; la cancel culture è solo la manifestazione più recente di un processo ininterrotto". Flores critica la retorica allarmistica che dipinge la cancel culture come una minaccia senza precedenti, sottolineando invece la sua continuità con dinamiche storiche consolidate.
La lingua imbrigliata: a margine del politicamente corretto
L’articolo di Massimo Arcangeli offre una visione sfaccettata e critica del politicamente corretto, bilanciando l’analisi dei suoi benefici con una denuncia dei suoi eccessi. "Il linguaggio", afferma l’autore, "deve essere uno strumento di comprensione e dialogo, non un campo di battaglia ideologico". Questa riflessione invita a un uso consapevole delle parole, rispettando le differenze senza cadere in estremismi.
Il potere del linguaggio e i suoi “guardiani”
Arcangeli apre con una domanda fondamentale: "Chi sono i padroni di una lingua? Chi ne governa l’uso?". L’autore identifica nei sostenitori del politicamente corretto una sorta di "élite regolatrice", che aspira a ridisegnare il linguaggio per eliminare discriminazioni e pregiudizi. Tuttavia, questo tentativo si rivela ambiguo: da un lato, mira a civilizzare il discorso pubblico, dall’altro rischia di sfociare in una censura velata o in un eccesso di controllo formale. L’esempio del Regno Unito è emblematico. Un documento governativo delinea un progetto per dichiarare formalmente il paese una società multiculturale, con proposte drastiche come "modificare le leggi sull’immigrazione, abolire la preminenza della Chiesa Anglicana e persino ridisegnare la bandiera nazionale perché nell’Union Jack manca il nero".
Il politicamente corretto come riscrittura culturale
Arcangeli analizza il fenomeno attraverso il prisma della cultura popolare, evidenziando il caso di James Finn Garner e il suo libro Politically Correct Bedtime Stories. Questo volume, ironico e provocatorio, trasforma le favole tradizionali in racconti in linea con i valori progressisti. Cappuccetto Rosso, ad esempio, diventa "una bimba risoluta e femminista", mentre il lupo smette di essere un antagonista e si trasforma in un "ecologista vegetariano". Questa riscrittura, sebbene ironica, sottolinea un rischio più ampio: la manipolazione della memoria collettiva e l’eliminazione di elementi culturalmente significativi in nome di una presunta neutralità.
Il ruolo degli “speech codes” nelle università
Un momento cruciale per la diffusione del politicamente corretto, secondo Arcangeli, è stato l’introduzione degli speech codes nelle università americane a partire dagli anni Ottanta. Questi regolamenti, creati per combattere il razzismo e il sessismo, hanno finito per limitare la libertà di espressione. "Il primo codice verbale ufficialmente istituito fu quello del 1988 all’Università del Michigan," ricorda l’autore, aggiungendo che entro il 1993 la maggior parte dei campus americani aveva adottato normative simili. L’autore cita anche il manifesto Words That Wound, che nel 1993 propose una revisione del Primo Emendamento della Costituzione americana, sostenendo che alcune forme di linguaggio aggressivo dovessero essere escluse dalla protezione costituzionale.
I paradossi della regolamentazione linguistica
Arcangeli mette in evidenza le contraddizioni insite nel politicamente corretto. Se da un lato esso cerca di promuovere giustizia sociale, dall’altro rischia di cadere in eccessi che rasentano il ridicolo. Un esempio è l’industria del tonno americana, che ha sostituito il termine "mattanza" con il più rassicurante "raccolto". Allo stesso modo, il linguaggio delle operazioni militari statunitensi viene criticato per il suo uso di eufemismi come "fuoco amichevole" per indicare vittime di fuoco amico. "Questo tipo di linguaggio", scrive Arcangeli, "oscura la realtà e alimenta un’ipocrisia verbale che, invece di risolvere i problemi, li occulta".
La “Nuova Sfacciataggine”
In contrapposizione al politicamente corretto, Arcangeli descrive l’avvento della "Nuova Sfacciataggine", un atteggiamento che legittima il linguaggio crudo e provocatorio come reazione agli eccessi della regolamentazione. Citando Barbara Spinelli, l’autore afferma che "l’urlo irresponsabile ignora volutamente il livello della politica, pretendendo di purificare prima il linguaggio e poi le cose umane". Questa tendenza, pur essendo una reazione al politicamente corretto, rischia di amplificare un’altra forma di estremismo linguistico.
La polizia del linguaggio: il rischio di un controllo eccessivo
Arcangeli osserva che il politicamente corretto può trasformarsi in una sorta di "polizia del verbo", dove ogni espressione viene scrutinata alla ricerca di potenziali offese. Questo fenomeno si riflette anche in Italia, ad esempio nel caso di espressioni come "in bocca al lupo", che sono state criticate perché considerate offensive verso gli animali. Secondo Arcangeli, "questi interventi rischiano di creare un clima di censura e ipocrisia".
Un bilancio critico
L’autore conclude che il politicamente corretto, pur avendo obiettivi lodevoli, deve essere gestito con equilibrio. Arcangeli mette in guardia contro due rischi opposti: da un lato, l’ossessione per la neutralità linguistica, che sterilizza il discorso pubblico; dall’altro, la reazione della "Nuova Sfacciataggine", che può legittimare forme di comunicazione violente o offensive.
Cancel culture: il politicamente corretto ucciderà la letteratura?
L'articolo Cancel culture: il politicamente corretto ucciderà la letteratura?, scritto da Costanza Rizzacasa D’Orsogna per il “Corriere della Sera”, esplora le complesse implicazioni della cancel culture e del politicamente corretto sulla letteratura contemporanea. Attraverso le voci di due scrittori, Walter Siti e Jonathan Bazzi, viene esaminato come questi fenomeni stiano ridefinendo il linguaggio, la narrativa e il ruolo stesso degli autori.
La Cancel Culture e la letteratura
Gli esperti aprono l’articolo evidenziando come la cancel culture abbia portato a trame modificate, personaggi rivisti e libri "riscritti" per adattarsi alle sensibilità moderne. Questo cambiamento, spiega l'autrice, riflette una tensione tra il rispetto per le minoranze e il rischio di limitare la creatività letteraria. La questione chiave è se sia giusto giudicare opere del passato con i parametri morali del presente. "Si può essere razzisti, omofobi, misogini, e contemporaneamente grandi autori?", chiede l’autrice, riflettendo sulle contraddizioni di questi dibattiti.
Walter Siti: la difesa della diversità
Walter Siti, autore di Contro l’impegno (Rizzoli, 2021), offre una prospettiva critica. Da sempre attento al tema della diversità, Siti sottolinea che oggi essa rischia di essere negata sotto il motto “siamo tutti diversi”, portando a una finta uguaglianza che elimina le peculiarità. "Negare le diversità significa privare le persone della forza di patire la violenza" afferma Siti, ponendo l'accento sull'importanza del dolore e della sofferenza come elementi che alimentano la letteratura. Siti racconta anche un episodio personale in cui un editore francese gli chiese di cambiare il termine "juifs" (ebrei) in un contesto potenzialmente negativo, per evitare controversie. Accettò, ma ribadisce che non cambierebbe mai un personaggio.
Jonathan Bazzi: la sfida dei social media
Jonathan Bazzi, autore di Corpi minori (Mondadori), evidenzia l’impatto dei social media nel moltiplicare i punti di vista, ma anche nell’accentuare l’intolleranza verso opinioni divergenti. Per Bazzi, la letteratura deve rimanere uno spazio libero dall’attivismo diretto, dove si coltiva una prospettiva più ampia. "La preoccupazione di uno scrittore non può essere quella di non offendere nessuno, altrimenti meglio non scrivere più niente", afferma Bazzi, difendendo la libertà creativa. Bazzi rivela che il suo editore australiano gli ha chiesto di apportare modifiche a un personaggio per evitare di urtare sensibilità culturali, dimostrando come la cancel culture influenzi anche le dinamiche editoriali internazionali.
Trigger Warnings e Sensitivity Readers
L'articolo esamina pratiche come i trigger warnings e la figura del sensitivity reader, diffusa nel mercato anglosassone, che rilegge i testi per identificare potenziali elementi offensivi. Siti e Bazzi concordano che tali pratiche possano limitare la complessità narrativa, portando a personaggi poco realistici. "Che ne è della letteratura se creiamo fotocopie di personaggi improbabili e perfetti in cui chi legge non potrà mai immedesimarsi?", si chiede Siti.
Francesca D'Agnese, 20 marzo 2025