Remare contro il “follemente corretto” costa
L'articolo presenta le riflessioni di Luca Ricolfi, noto sociologo e saggista italiano, che si interroga sul costo personale e collettivo del resistere al "follemente corretto", un termine che utilizza per indicare l’estremizzazione del politicamente corretto nella società contemporanea. Ricolfi critica l'imposizione di regole linguistiche e culturali che, a suo parere, limitano la libertà di pensiero e di espressione. Egli ritiene che il politicamente corretto, inizialmente concepito per promuovere l’inclusività e il rispetto delle diversità, sia oggi diventato uno strumento di conformismo e censura.
I costi del dissentire
Ricolfi sottolinea che opporsi a questa tendenza non è privo di conseguenze. Coloro che osano criticare apertamente il politicamente corretto spesso affrontano ostracismo sociale, perdita di opportunità professionali e accuse di insensibilità o discriminazione. Questo crea un clima di autocensura, in cui molte persone evitano di esprimere opinioni contrarie per timore delle ripercussioni.
Il ruolo della cultura e dell'educazione
L’autore pone l’accento sull’impatto del politicamente corretto nel campo dell’educazione e della cultura. Ricolfi critica la revisione dei programmi scolastici e delle opere classiche con l’obiettivo di renderle conformi agli standard contemporanei di inclusività. A suo avviso, queste modifiche rischiano di impoverire il dibattito culturale e di cancellare le complessità storiche e linguistiche che costituiscono il patrimonio intellettuale.
Una società divisa
Un altro tema centrale è la polarizzazione sociale causata dal politicamente corretto. Ricolfi osserva che il dibattito pubblico è sempre più caratterizzato da una divisione tra chi sostiene queste politiche come strumenti di progresso sociale e chi le considera un attacco alla libertà individuale. Questa divisione, secondo l’autore, mina la capacità della società di affrontare collettivamente le sfide sociali ed economiche. L'articolo si chiude con un appello a riscoprire il valore della pluralità di opinioni e a promuovere un dialogo che non si limiti a imporre regole, ma che miri a costruire una società basata sul rispetto reciproco e sulla comprensione delle differenze.
Il potere della parola: Effetti del “politically correct” nel mondo scolastico
L'articolo di Jessica Facoetti, pubblicato su Varchi, esplora gli effetti di questa sensibilità linguistica sulle relazioni educative, rivelando come il politically correct stia rimodellando il ruolo degli insegnanti e il modo in cui studenti e istituzioni affrontano la diversità. L’articolo dipinge un quadro complesso e sfumato, in cui il politically correct emerge come uno strumento prezioso ma non privo di insidie. Se da un lato promuove il rispetto e l’inclusione, dall’altro può generare immobilismo e paura. "Il compito della scuola è trasformare gli specchi in finestre," ricorda saggiamente il giornalista Harris. Per fare ciò, è necessario un equilibrio tra sensibilità e libertà di espressione, per formare generazioni capaci di affrontare il mondo con coraggio e consapevolezza.
Il politically correct e l’educazione scolastica
"L’espressione angloamericana 'politically correct' designa un orientamento ideologico e culturale di estremo rispetto verso tutti, nel quale si evita ogni potenziale offesa verso determinate categorie di persone," spiega Rita Fresu, professoressa di linguistica italiana. Questo principio, nato negli Stati Uniti negli anni '80, si è diffuso anche in Italia, influenzando profondamente il linguaggio utilizzato nelle scuole. Nel sistema scolastico italiano, questa trasformazione si riflette in una crescente attenzione all’uso delle parole. Termini come "handicappato" sono stati sostituiti da "diversamente abile", mentre "paziente" lascia spazio ad "assistito". Questi cambiamenti, pur con buone intenzioni, hanno dato vita a un nuovo vocabolario che permea la società e si radica profondamente nell’educazione. Come sottolinea l’autrice, i giovani di oggi "attingono e imparano da un vocabolario nuovo", che plasma il loro rapporto con il mondo e con i loro insegnanti.
Conflitti tra studenti e insegnanti
Le conseguenze di questa trasformazione non sono prive di tensioni. Numerosi episodi di cronaca hanno visto studenti e insegnanti scontrarsi su questioni legate alla sensibilità linguistica. Al Liceo Fogazzaro di Vicenza, ad esempio, la preside Maria Rosa Puleo ha suscitato polemiche definendo "inadeguati" gli abiti di alcune studentesse, commentando che "non si mostra la ciccia in quel modo". La reazione degli studenti è stata immediata: "Parole gravi che danneggiano la salute psicofisica degli adolescenti," hanno dichiarato. Simili episodi si sono verificati anche in altre scuole, come il Liceo scientifico Righi di Roma, dove una professoressa ha rivolto a una studentessa un commento considerato sessista. Questi episodi, spiega l’autrice, evidenziano "la polarizzazione sugli specifici termini impiegati," che spesso sovrastano il messaggio complessivo. Ciò che rimane nella memoria collettiva sono parole come "ciccia", decontestualizzate.
Il peso delle parole sugli insegnanti
Questi cambiamenti linguistici hanno un impatto diretto sugli insegnanti, che si trovano a camminare su un "filo teso e sottile". Una delle testimonianze raccolte dall’autrice è particolarmente eloquente: "Fare l’insegnante oggi… qualcosa di molto complesso… non riesci a muoverti con la libertà di un tempo, devi contare le parole". Un’altra insegnante ammette: "Ho paura di parlare… temo che una parola sbagliata possa compromettere la mia carriera". Questo clima di tensione ha portato a una situazione paradossale in cui l’attenzione alla forma prevale sul contenuto. La parola diventa un elemento da pesare meticolosamente, e ciò rischia di limitare la capacità degli insegnanti di svolgere appieno il loro ruolo educativo.
Riflessioni filosofiche
Il legame tra linguaggio e realtà, un tema caro a filosofi come Sant’Agostino e Heidegger, è messo in discussione dalla cultura del politically correct. Secondo il giurista Giovanni Civello, "Il pensiero contemporaneo disarticola progressivamente il nesso ontologico tra segno linguistico e realtà oggettiva". Questa disconnessione rischia di trasformare il linguaggio in un fine a se stante, piuttosto che in un mezzo per rappresentare la realtà.
Il ruolo educativo della critica
L’articolo chiude con una riflessione sulla necessità di bilanciare rispetto e criticità. Citando lo psicoterapeuta Adam Phillips, l’autrice osserva: "Un no non è necessariamente un rifiuto dell’altro, ma può dimostrare la fiducia nella sua forza e nelle sue capacità". In un’epoca in cui il politicamente corretto rischia di trasformarsi in mera censura, è fondamentale che gli insegnanti continuino a fungere da guide per gli studenti, offrendo non solo parole rispettose, ma anche modelli di dialogo critico e aperto.
Politicamente corretto e cancel culture: gli ospiti inquietanti dell'inclusione scolastica
L'articolo Politicamente corretto e cancel culture: gli ospiti inquietanti dell'inclusione scolastica, scritto da Salvatore Grandone su “Inchiostronero”, esplora le tensioni tra l’ideale dell’inclusione scolastica e le insidie del politicamente corretto e della cancel culture. L'analisi si sviluppa attraverso esempi pratici e riflessioni sulle dinamiche che stanno trasformando l’ambiente educativo.
L’inclusione: Un imperativo scolastico
"L’inclusione è il valore fondamentale dell’odierna scuola italiana," esordisce l’autore, evidenziando come questo principio sia diventato un pilastro della politica educativa nazionale. Il concetto di inclusione si è evoluto per abbracciare sempre più categorie di studenti, dai disabili ai neoarrivati in Italia, fino agli studenti con talenti particolari o "plusdotati". Lo slogan "Siamo tutti speciali!" incarna questa filosofia, che mira a valorizzare ogni differenza come risorsa. Nonostante l'enfasi teorica, Grandone sottolinea le difficoltà pratiche: "Sono pochi i docenti realmente formati per rispondere in modo adeguato alle esigenze della specialità". Le classi sovraffollate e le limitazioni strutturali rendono ardua la realizzazione di una didattica personalizzata, portando a esiti contraddittori: "In alcuni contesti l’inclusione riesce; in molti altri, i risultati lasciano a desiderare".
Il rischio della retorica
Grandone denuncia una graduale trasformazione: "Dalla riflessione sull’inclusione si sta passando alla retorica dell’inclusione". Questo passaggio ha spostato l’attenzione dal contenuto alle forme, aprendo le porte al politicamente corretto. L’autore cita Eugenio Capozzi, che definisce il politicamente corretto come "un’incarnazione estrema del progressismo, fondata su un relativismo etico radicale". Questa enfasi sulla forma linguistica, piuttosto che sul contenuto educativo, crea "trappole comunicative" che disorientano i docenti. "L’attenzione si è spostata sulla forma, soprattutto sull’uso delle parole," evidenzia Grandone, suggerendo che il linguaggio può diventare un campo minato per gli educatori.
Esempi emblematici
Un caso emblematico citato è quello di una docente di Treviso, che ha dispensato due studenti non cattolici dallo studio di Dante, per rispetto delle loro credenze religiose. La decisione ha innescato una reazione virale sui social media, culminata in un’indagine ministeriale e possibili sanzioni. "La macchina dell’indignazione ha trasformato una scelta didattica in uno scandalo pubblico" commenta l’autore. Eventi simili si verificano anche all’estero, come nel caso dell’insegnante francese Samuel Paty, assassinato per aver mostrato vignette satiriche su Maometto, o della docente americana licenziata per aver mostrato immagini del David di Michelangelo, considerate inappropriate dai genitori.
Il legame con la cancel culture
Grandone collega queste dinamiche alla cancel culture, definita come "quella tendenza a chiedere che idee o atteggiamenti contrari alla morale progressista siano puniti con l’esclusione pubblica". La cancel culture, secondo l’autore, amplifica il clima di insicurezza per gli educatori, rendendo ogni errore potenziale oggetto di sanzioni pubbliche e professionali. Secondo Grandone, è necessario un ritorno a un equilibrio tra rispetto delle differenze e libertà educativa, per evitare che la scuola diventi "un’arena di scontri ideologici e mediatici". "La scuola italiana sembra entrata in una nuova fase dove la finzione e la dimensione mediatica hanno un peso maggiore rispetto alla realtà". In questo contesto, i docenti operano su un "campo minato," consapevoli che ogni scelta potrebbe essere fraintesa e amplificata.