Martina Mussa nell’articolo Overcoming Barriers to Inclusive Language, pubblicato da “Youth and Environment Europe (YEE)” il 16 settembre 2024, esplora le difficoltà e le resistenze nell’adozione del linguaggio inclusivo, analizzando gli ostacoli culturali, linguistici e pratici che ne limitano l’efficacia. Il testo sottolinea come, nonostante l’intento positivo di creare una comunicazione più equa e rispettosa, il linguaggio inclusivo possa incontrare barriere che ne compromettono l’adozione su larga scala e la sua efficacia nel favorire un cambiamento concreto nella società. Il testo sottolinea che per rendere il linguaggio inclusivo veramente efficace è necessario trovare un equilibrio tra inclusività e chiarezza comunicativa, evitando eccessi di tecnicismo o imposizioni ideologiche che potrebbero risultare controproducenti. La sfida è dunque quella di promuovere un linguaggio che sia accessibile, rispettoso e accettato dalla società nel suo insieme, piuttosto che imposto dall’alto senza un adeguato processo di sensibilizzazione e adattamento culturale.
Il linguaggio inclusivo e la sua funzione comunicativa
Martina Mussa, Feminist Human Rights Advocate, nell’articolo Overcoming Barriers to Inclusive Language, parte dal presupposto che il linguaggio sia uno strumento fondamentale per modellare la percezione della realtà e promuovere valori di equità e giustizia sociale. Secondo l’autrice il linguaggio inclusivo è essenziale per garantire una rappresentazione equa di tutti i gruppi sociali, evitando espressioni che perpetuano pregiudizi e discriminazioni. Tuttavia, l’articolo riconosce che l’adozione di un linguaggio inclusivo incontra numerose difficoltà, sia per la resistenza culturale sia per la complessità pratica della sua applicazione. L’autrice evidenzia che, sebbene le parole abbiano un forte impatto sulla costruzione delle identità e delle dinamiche sociali, non basta cambiare la terminologia per eliminare le discriminazioni strutturali. Anzi, l’imposizione di un nuovo vocabolario può generare confusione, polarizzazione e persino una resistenza maggiore da parte del pubblico a cui è rivolto.
Le principali barriere all’adozione del linguaggio inclusivo
L’articolo individua diverse barriere che ostacolano l’uso efficace del linguaggio inclusivo, suddividendole in barriere linguistiche, culturali e strutturali. Uno degli ostacoli principali è la complessità terminologica: l’autrice evidenzia come, in alcuni contesti, l’adozione di termini più inclusivi abbia portato a un linguaggio eccessivamente tecnico o burocratico, che rende la comunicazione meno accessibile. Ad esempio, la sostituzione di termini tradizionali con espressioni più neutre può risultare artificiosa e di difficile comprensione, soprattutto per chi non ha familiarità con queste nuove costruzioni linguistiche. Un esempio riportato è il linguaggio utilizzato nel settore ambientale, dove il gergo tecnico già rappresenta una barriera alla comunicazione. Se a ciò si aggiunge la necessità di rendere il linguaggio più inclusivo, il rischio è che il messaggio diventi ancora meno accessibile, limitando la partecipazione di un pubblico più ampio. Martina Mussa evidenzia che il linguaggio inclusivo è spesso percepito come un’imposizione ideologica da parte di alcuni gruppi sociali, generando resistenze che ne ostacolano l’adozione. Secondo l’analisi, la percezione che un determinato vocabolario venga imposto da un’élite progressista porta molte persone a rifiutarlo, nonostante il suo intento positivo. Questo fenomeno è particolarmente evidente nelle generazioni più anziane e nei contesti più conservatori, dove l’uso di un linguaggio più neutro viene visto come un’alterazione artificiale della lingua e un attacco ai valori tradizionali. L’articolo sottolinea che, per evitare un effetto boomerang, è fondamentale accompagnare il cambiamento linguistico con una sensibilizzazione graduale e con spiegazioni chiare sul suo valore sociale. Un altro aspetto interessante evidenziato dall’articolo riguarda il rischio che il linguaggio inclusivo finisca per escludere alcune categorie di persone anziché includerle. Questo può avvenire quando la complessità della terminologia utilizzata rende il linguaggio meno accessibile per chi ha un livello di istruzione più basso o per chi non ha familiarità con i cambiamenti linguistici in atto. L’autrice sottolinea che, sebbene il linguaggio inclusivo sia pensato per favorire l’inclusione, il suo uso eccessivamente tecnico o accademico può diventare un ostacolo alla partecipazione. Questo problema è particolarmente evidente nelle comunicazioni istituzionali e nelle campagne di sensibilizzazione, dove l’utilizzo di un linguaggio poco comprensibile rischia di allontanare proprio quei gruppi sociali che si vogliono includere.
Strategie per superare le barriere
L’articolo propone alcune strategie per superare le difficoltà legate all’uso del linguaggio inclusivo e favorire un’adozione più efficace: Mussa consiglia di utilizzare un linguaggio chiaro e accessibile, evitando eccessi di tecnicismi e formulazioni troppo complesse per garantire che il messaggio sia comprensibile a tutti. Il linguaggio inclusivo non deve trasformarsi in un ostacolo alla comunicazione efficace. Invece di imporre nuove terminologie, è utile accompagnare il cambiamento linguistico con attività di educazione e sensibilizzazione, spiegando il valore sociale di queste modifiche. Contemporaneamente è necessario però rispettare le diversità culturali: il linguaggio deve adattarsi ai contesti in cui viene utilizzato, evitando di imporre formule standardizzate che potrebbero risultare artificiali o poco accettate da determinati gruppi sociali. Il linguaggio inclusivo deve essere uno strumento di dialogo e non di divisione. Per questo motivo è importante che il dibattito su queste tematiche avvenga in modo aperto, rispettoso e non dogmatico. Political Correctness, Political Cultures, and The Civilizing Process Luiz E. Soares nell’articolo Political Correctness, Political Cultures, and The Civilizing Process, pubblicato su “AnthroSource”, esamina il concetto di politicamente corretto attraverso una lente storica e sociopolitica, ponendo particolare attenzione alla reazione della società brasiliana. L'autore collega il dibattito sulla correttezza politica al più ampio processo di civilizzazione, mettendo in discussione le sue implicazioni sulla libertà di espressione e sulla costruzione dell’identità sociale. L’analisi di Soares fornisce una prospettiva equilibrata e critica sul politicamente corretto, riconoscendone sia i meriti che i limiti. L’autore non lo rigetta in toto, ma lo interpreta come parte di un più ampio processo di ridefinizione culturale e politica, in cui le società negoziano costantemente i confini tra libertà di espressione e rispetto delle sensibilità collettive.
Il politicamente corretto come reazione culturale
Soares analizza la forte opposizione al politicamente corretto in Brasile, sottolineando che essa riflette una caratteristica distintiva della cultura nazionale. Secondo l'autore, questa opposizione non è semplicemente una resistenza al cambiamento, ma un segnale di un profondo conflitto tra valori tradizionali e nuovi paradigmi sociali. L'introduzione di norme linguistiche e comportamentali più inclusive viene percepita da alcuni come un’imposizione esterna che mina le basi della cultura locale. Il politicamente corretto nel contesto della "civilizzazione" L'autore collega il concetto di politicamente corretto alla teoria del "processo di civilizzazione" di Norbert Elias, secondo cui le società si sviluppano attraverso un processo di regolazione sempre più raffinata delle norme e dei comportamenti. In questo senso, il politicamente corretto può essere visto come un'evoluzione della società verso un maggiore controllo dei modi di esprimersi e delle relazioni interpersonali. Tuttavia, Soares sottolinea una contraddizione fondamentale: mentre l’obiettivo dichiarato del politicamente corretto è quello di promuovere maggiore inclusione e rispetto per le diversità, esso finisce per imporre nuove forme di domesticazione sociale. Il linguaggio viene regolato da norme sempre più stringenti, trasformando la libertà di espressione in un terreno di conflitto. Denaturalizzazione e ridefinizione dell’identità sociale Un altro concetto chiave esplorato nell’articolo è quello della denaturalizzazione dell’ordine sociale. Soares afferma che il processo di civilizzazione comporta una ridefinizione costante dell’identità individuale e collettiva. Con il politicamente corretto, si assiste a un’accelerazione di questo processo, poiché sempre più aspetti della comunicazione pubblica vengono sottoposti a revisione critica. L'autore evidenzia che questo fenomeno ha due effetti principali, in primis l’apertura a nuove identità: il politicamente corretto permette a gruppi storicamente marginalizzati di essere riconosciuti nel discorso pubblico, contribuendo a un ampliamento della pluralità sociale. E anche il rinforzo del controllo istituzionale: le norme linguistiche diventano strumenti di regolazione culturale, talvolta usati per censurare posizioni ritenute inappropriate.
Il paradosso della libertà e del controllo
Soares conclude che la storia della libertà è paradossalmente anche una storia di controllo. Più una società si evolve verso il riconoscimento delle differenze, più diventa necessario regolare il linguaggio e i comportamenti per garantire il rispetto reciproco. Questa tensione tra apertura e regolamentazione è ciò che rende il politicamente corretto un fenomeno complesso e controverso. L’autore suggerisce che, sebbene il politicamente corretto rappresenti un tentativo di migliorare le dinamiche sociali, esso non può essere considerato un semplice strumento di progresso, poiché porta con sé anche conseguenze inattese, come il rischio di una nuova forma di censura morale e politica.
Political Correctness
Gann e Duignan all’interno del libro esaminano il concetto di politically correct (PC), contestualizzandolo nella società moderna e analizzando le sue origini storiche e culturali. Gli autori argomentano che il politicamente corretto si è evoluto da uno strumento di inclusione a una forma di censura ideologica, che limita la libertà di espressione e impone una visione unilaterale del progresso sociale. Gli autori sottolineano come l’adozione del linguaggio politicamente corretto nelle università abbia portato a una restrizione del dibattito accademico. Professori e studenti che esprimono opinioni non allineate al pensiero dominante rischiano di essere ostracizzati o censurati. Il focus su "safe spaces" e "trigger warnings" crea un ambiente in cui il confronto libero di idee viene ostacolato, favorendo un’educazione più ideologica che critica. Gli autori argomentano che il politicamente corretto non si limita a promuovere l’inclusività, ma cerca attivamente di modificare il linguaggio e la cultura in modi che possono risultare artificiali o forzati. Vengono analizzati esempi di cambiamenti linguistici imposti da istituzioni e governi, con il rischio di una riduzione della spontaneità del linguaggio e della comunicazione autentica. Nell’articolo si afferma che l’adozione acritica del politicamente corretto porti a una disconnessione con le radici culturali e tradizionali di una società. Questo fenomeno, secondo loro, non rafforza la coesione sociale, ma la indebolisce, frammentando le comunità in gruppi contrapposti che competono per il riconoscimento. Il politicamente corretto viene presentato come un meccanismo attraverso cui élite politiche e intellettuali impongono le proprie agende, limitando il pluralismo delle opinioni. L’ossessione per il linguaggio corretto e inclusivo diventa un’arma di esclusione contro chi non si conforma, alimentando nuove forme di discriminazione ideologica. Sebbene l’idea di un linguaggio inclusivo sia valida, il politicamente corretto deve essere bilanciato con il rispetto per la libertà di espressione e la diversità di pensiero. Solo un dibattito aperto e senza censura può garantire una società veramente equa e pluralista.
Implicazioni del politicamente corretto
Gli autori avvertono che un’applicazione estrema del politicamente corretto può portare a una società meno tollerante verso il dissenso e più incline all’autocensura. Se il PC è nato con l’intenzione di promuovere l’inclusività, la sua degenerazione rischia di produrre il risultato opposto: un ambiente culturale oppressivo in cui il conformismo sostituisce il pensiero critico.
Francesca D'Agnese, 20 marzo 2025