L'importanza del linguaggio nelle sfide della diversità e inclusione
Nel contesto delle sfide contemporanee legate alla diversità e all'inclusione, il linguaggio gioca un ruolo centrale nel modellare la nostra percezione del mondo e nelle dinamiche sociali. L'autore Pooya Taheri, nel suo articolo Using Inclusive Language in the Applied-Science Academic Environments, esplora come il linguaggio, lungi dall'essere neutrale, incarna le assunzioni personali, le norme sociali e le ideologie culturali, influenzando le nostre interazioni quotidiane. "Il linguaggio riflette il mondo in cui viene utilizzato, ma è anche attivo nel mantenere o riprogettare quel mondo. Può essere uno strumento di discriminazione o di empowerment”.
Linguaggio inclusivo: ridurre le discriminazioni in ambito accademico e professionale
Nel panorama accademico e professionale, il linguaggio inclusivo ha l’obiettivo di ridurre le discriminazioni e di creare un ambiente di rispetto per tutti. I termini legati al razzismo, al sessismo o ad altre forme di marginalizzazione, come “master-slave” e “blacklist-whitelist”, sono stati ampiamente criticati per perpetuare stereotipi dannosi. L'autore suggerisce alternative più rispettose, come “leader-follower” o “blocklist-allowlist”, che possono essere adottate per evitare l’uso di riferimenti inappropriati e per garantire un ambiente più equo. Taheri sottolinea che: "La metafora master-slave (padrone-schiavo) potrebbe essere stata accettata quando la maggior parte degli ingegneri era omogenea, ma nell'ambiente diversificato di oggi dobbiamo considerare l'impatto che questi termini hanno".
Il linguaggio come strumento di inclusione o esclusione sociale
Il linguaggio non è solo un mezzo di comunicazione, ma un potente strumento che può plasmare l'identità e il comportamento di chi lo utilizza. Le parole, infatti, "hanno il potere di influenzare la nostra identità, le nostre attitudini e le immagini che abbiamo degli altri". Se usato in modo non inclusivo, il linguaggio può contribuire a escludere interi gruppi sociali e a perpetuare pregiudizi. Le persone appartenenti a categorie marginalizzate, come quelle di genere non conforme, possono sentirsi “invisibilizzate” da un linguaggio che non riconosce la loro esistenza, come nel caso dell'uso esclusivo del pronome “he”. La crescente adozione di pronomi di genere neutro, come “they”, è un passo significativo verso l’inclusione di tutti gli individui, indipendentemente dalla loro identità di genere. Come afferma Taheri: "Sottili segnali linguistici che possono sembrare banali a prima vista possono segnalare ostracismo basato sul gruppo e indurre i membri del gruppo emarginato ad autoescludersi da ambienti professionali importanti”.
L'approccio “people-first”: centralità della persona
Un altro aspetto centrale trattato nell'articolo è l'importanza del “people-first language”, un approccio che pone la persona prima della sua condizione, come nel caso di “person with a disability” anziché “disabled person”. Questo non solo rispetta l’individuo, ma lo colloca come centrale rispetto alla sua condizione. "Lo scopo del linguaggio people-first (prima la persona) è promuovere l'idea che l'etichetta di disabilità di una persona sia solo un'etichetta di disabilità, e non la caratteristica definente dell'intero individuo". Tale approccio aiuta a evitare l’etichettamento e la marginalizzazione, permettendo alle persone di non essere definite da un’unica caratteristica.
Resistenze e opportunità di cambiamento
Tuttavia, non mancano le resistenze verso l'adozione di un linguaggio inclusivo, spesso accusato di essere esagerato o superfluo. Nonostante ciò, Taheri conclude che, sebbene il cambiamento del linguaggio non risolva tutti i problemi sociali, rappresenta un passo importante verso una maggiore consapevolezza: "Cambiare il linguaggio non ha cambiato la società, ma se questi cambiamenti penetrano nei processi di pensiero della comunità intellettuale, può essere, almeno, un inizio".