Uno degli argomenti principali contro la separazione delle carriere è che essa non risolve i problemi strutturali della giustizia italiana, ma rischia di distogliere l’attenzione dalle vere cause delle inefficienze del sistema. Secondo “Il Fatto Quotidiano” e “Domani”, il dibattito sulla separazione delle carriere è spesso strumentalizzato politicamente, mentre le vere criticità della giustizia italiana riguardano i tempi eccessivamente lunghi dei processi, il sottodimensionamento del personale giudiziario, la scarsa digitalizzazione e inefficienza amministrativa e anche il sovraccarico di cause civili e penali. La riforma proposta dal governo non affronta nessuno di questi problemi, e potrebbe anzi aggravarli creando divisioni interne alla magistratura e rendendo la gestione dei tribunali più complessa. Uno dei problemi più gravi della giustizia italiana è la durata eccessiva dei processi, in Italia un processo penale dura in media oltre 900 giorni, rispetto ai 400 giorni della media europea; il 35% dei processi penali si prescrive prima della sentenza definitiva, causando un enorme spreco di risorse giudiziarie. La giustizia civile è altrettanto lenta: una causa può durare fino a 10 anni prima di arrivare a una decisione definitiva. La separazione delle carriere non risolve questo problema perché la lentezza della giustizia non dipende dalla struttura della magistratura, ma da una carenza cronica di magistrati e personale amministrativo. Separare le carriere significa creare due sistemi separati, con nuove regole e organi di gestione, che potrebbero complicare ulteriormente il funzionamento dei tribunali. Il problema principale resta l’enorme arretrato giudiziario, che non verrebbe ridotto dalla separazione tra giudici e PM. Creare due carriere separate significa aumentare la burocrazia, senza risolvere il problema della carenza di magistrati e personale di supporto. Il governo dovrebbe invece investire in nuove assunzioni, per ridurre il carico di lavoro e migliorare la produttività della magistratura. La riforma proposta non incide sulla gestione amministrativa della giustizia, che rimane inefficiente a causa della scarsa informatizzazione e della lentezza della burocrazia, il processo civile telematico (PCT) è stato introdotto, ma funziona ancora a macchia di leopardo, con tribunali che operano ancora in modalità cartacea. L’attenzione dovrebbe essere rivolta all’implementazione di tecnologie digitali che permettano di accelerare i processi e ridurre il carico di lavoro dei tribunali. Il sistema giudiziario è ingolfato da norme procedurali obsolete, che rallentano i processi e complicano il lavoro dei magistrati. In Italia il numero di procedimenti pendenti è tra i più alti d’Europa, con circa 3 milioni di cause civili arretrate e oltre 1 milione di processi penali in attesa di giudizio. In più, la maggior parte dei processi penali riguarda reati di minore gravità, che potrebbero essere risolti con procedure alternative, alleggerendo il carico dei tribunali. Il governo dovrebbe semplificare le procedure penali, ridurre il numero di reati punibili con il processo e incentivare forme di giustizia alternativa (mediazione, arbitrato, patteggiamenti), la separazione delle carriere non incide sulla mole di lavoro dei tribunali, e potrebbe anzi renderla più difficile da gestire. I problemi principali della giustizia italiana sono dunque i tempi lunghi dei processi, la carenza di magistrati e l’inefficienza amministrativa. Separare le carriere non risolverebbe questi problemi, ma rischierebbe di distogliere l’attenzione dalle vere criticità.
Francesca D'Agnese, 17 marzo 2025