Uno dei principali argomenti a favore della separazione delle carriere è la necessità di garantire un giudice effettivamente terzo e imparziale, che non condivida lo stesso percorso formativo, culturale e professionale con il pubblico ministero (PM). L’attuale ordinamento italiano, che prevede l’appartenenza di giudici e PM allo stesso corpo della magistratura, genera una potenziale vicinanza tra accusa e giudizio, che secondo alcuni potrebbe alterare l’equilibrio del processo. Secondo il governo, la separazione delle carriere è l’unico modo per garantire che il giudice sia non solo indipendente, ma anche percepito come tale dalle parti in causa. Come evidenziato da “Sky TG24” e “Il Dubbio”, il governo Meloni sostiene che la riforma rispetti pienamente l’articolo 111 della Costituzione, che sancisce il principio del "giusto processo". Quest’ultimo impone che il giudice sia imparziale e che accusa e difesa siano in posizione di parità, un equilibrio che – secondo i sostenitori della riforma – sarebbe compromesso dalla comune appartenenza di giudici e PM alla stessa carriera. L'attuale sistema prevede che giudici e pubblici ministeri condividano il concorso di accesso alla magistratura, frequentino la stessa Scuola Superiore della Magistratura e siano sottoposti allo stesso Consiglio Superiore della Magistratura (CSM). Questa comunanza di percorso formativo potrebbe generare un conflitto di interessi implicito, specialmente nei tribunali di piccole dimensioni, dove magistrati che un tempo erano colleghi si ritrovano poi a operare su fronti opposti. Secondo i dati riportati da “Città Nuova”, il passaggio da PM a giudice – sebbene regolamentato e limitato dalla riforma Cartabia – avviene ancora, e nei casi in cui un magistrato transiti dalla funzione requirente a quella giudicante, potrebbe mantenere un'impostazione culturale più vicina all’accusa. Inoltre, i PM possono ricoprire ruoli da giudice nelle Corti d’Appello e in Cassazione, il che rende ancora più evidente il problema della commistione tra accusa e giudizio. L’“Espresso”, in un approfondimento sulla riforma, ha sottolineato come questa sovrapposizione possa avere un impatto sulla percezione dell’imparzialità del giudice. Nel Diritto, non basta che il giudice sia imparziale, ma è fondamentale che sia percepito come tale dalle parti in causa e dall’opinione pubblica. La riforma mira, dunque, a eliminare ogni possibile dubbio sulla neutralità del giudice, rafforzando il principio di equidistanza tra accusa e difesa. Un altro aspetto spesso sollevato dai sostenitori della riforma è il rischio di condizionamento reciproco tra giudici e PM. Come riportato da “Il Dubbio” e “Sky TG24”, nelle procure più piccole è frequente che i magistrati operino nello stesso ambiente per anni, creando relazioni professionali strette che potrebbero alterare la dinamica del processo. Per risolvere questo problema, la riforma prevede:
Concorsi separati per giudici e PM.
Due CSM distinti, uno per la magistratura giudicante e uno per quella requirente.
Percorsi formativi differenziati, per evitare una cultura giuridica comune tra accusa e giudizio.
Secondo il governo, queste misure porteranno a un sistema più trasparente e imparziale, dove il giudice potrà valutare con equidistanza le argomentazioni di accusa e difesa, senza alcun legame pregresso con il PM. I principali benefici della separazione delle carriere sarebbero, dunque, una maggior trasparenza nel processo e una percezione più forte di equidistanza tra le parti, oltre all’eliminazione di ogni possibile influenza tra accusa e giudizio.
Francesca D'Agnese, 17 marzo 2025