Negli ultimi anni, l’emergenza climatica ha portato a una crescente attenzione sull’impatto ambientale dell’alimentazione, con l’allevamento intensivo tra le principali cause di deforestazione, spreco di risorse idriche, emissioni di gas serra e perdita di biodiversità. La dieta vegana è vista come una soluzione efficace per ridurre l’inquinamento globale e gestire le risorse naturali in modo più sostenibile. Uno dei problemi ambientali più rilevanti legati alla produzione di carne è l’elevata emissione di gas serra. Secondo un rapporto pubblicato su “Newsweek” (2025), il settore della zootecnia è responsabile del 14,5% delle emissioni globali di gas serra, un valore comparabile a quello dell’intero settore dei trasporti. Gli allevamenti di bovini producono grandi quantità di metano (CH₄), un gas serra 28 volte più potente della CO₂ nel trattenere il calore nell’atmosfera. Le emissioni di metano derivanti dagli allevamenti rappresentano il 37% del totale mondiale. Secondo il Plant-Based Treaty (2024), un passaggio globale al veganismo potrebbe ridurre del 49% le emissioni alimentari, contribuendo al raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi. L’allevamento è anche una delle principali cause di deforestazione e perdita di biodiversità. Il World Resources Institute riporta che ogni anno vengono distrutti 6,7 milioni di ettari di foresta tropicale per creare pascoli o coltivare soia destinata all’alimentazione animale. In Amazzonia, l’80% della superficie disboscata è utilizzata per il bestiame. Poiché le foreste assorbono CO₂ e regolano il clima, la loro distruzione accelera il riscaldamento globale. Un altro fattore critico è il consumo d’acqua. Per produrre 1 kg di manzo servono fino a 15.400 litri d’acqua, mentre per 1 kg di lenticchie ne bastano 1.250. Il Water Footprint Network stima che l’allevamento consumi il 27% delle risorse idriche globali, aggravando la scarsità d’acqua. Anche l’uso del suolo è inefficiente: secondo il Plant-Based Treaty, l’83% dei terreni agricoli è destinato alla produzione di carne e latticini, ma questi alimenti forniscono solo il 18% delle calorie globali. Se la produzione animale fosse ridotta, vaste aree potrebbero essere destinate a coltivazioni più efficienti o alla riforestazione. L’adozione di una dieta vegana potrebbe inoltre contribuire a combattere la fame nel mondo. La FAO (2025) stima che il 36% dei cereali prodotti globalmente venga destinato al bestiame, anziché al consumo umano. Se queste colture fossero usate per l’alimentazione diretta, potrebbero nutrire circa 3,5 miliardi di persone in più. L’allevamento industriale è anche una delle principali fonti di inquinamento idrico. I rifiuti organici prodotti dagli allevamenti finiscono spesso nei fiumi e negli oceani, provocando eutrofizzazione e la formazione di “zone morte” marine prive di ossigeno. Nel Golfo del Messico, ad esempio, una delle più grandi zone morte è causata dal deflusso di fertilizzanti e rifiuti degli allevamenti industriali negli Stati Uniti. Il cambiamento verso un’alimentazione più sostenibile è già in atto. Il Plant-Based Treaty (2024) ha riportato che Amsterdam ha avviato una riduzione del 60% del consumo di proteine animali entro il 2030, con incentivi economici per i cibi vegetali. Anche il settore privato sta investendo nelle alternative alla carne: aziende come Impossible Foods e Beyond Meat stanno sviluppando prodotti plant-based che imitano il sapore e la consistenza della carne con un impatto ambientale minore. Secondo “WICZ News” (2025), il mercato globale delle proteine vegetali ha raggiunto un valore di 14,23 miliardi di dollari e continuerà a crescere del 5,4% annuo fino al 2033. Nonostante questi dati favorevoli, alcuni studiosi sottolineano che il veganismo non è privo di impatti ambientali. La coltivazione intensiva di alcuni alimenti vegani, come soia, avocado e mandorle, sta generando problemi ecologici. Il Water Footprint Network ha evidenziato che per produrre 1 litro di latte di mandorla sono necessari 6.000 litri d’acqua, contribuendo alla siccità in California. Tuttavia, è importante considerare che il 77% della soia mondiale viene utilizzata per nutrire gli animali da allevamento, e solo una minima parte è destinata al consumo umano. Ridurre il consumo di carne e latticini a favore di un’alimentazione plant-based è una delle strategie più efficaci per contrastare il cambiamento climatico e ridurre lo spreco di risorse naturali. L’evidenza scientifica mostra che questa transizione potrebbe portare a una drastica riduzione delle emissioni di gas serra, del consumo d’acqua e dell’uso del suolo agricolo, garantendo al contempo maggiore sicurezza alimentare. Sebbene una transizione completa al veganismo possa non essere immediata, il futuro dell’alimentazione sembra sempre più orientato verso una riduzione della dipendenza dai prodotti di origine animale.
Nina Celli, 15 marzo 2025