Le nuove tariffe introdotte da Donald Trump nel 2025 rappresentano una minaccia senza precedenti per il Made in Italy e per l’intero sistema industriale europeo. Con gli Stati Uniti che si confermano il primo mercato extra-UE per l’export italiano, l’applicazione di dazi del 25% su automobili, semiconduttori, alimentari e beni di lusso, rischia di creare un effetto devastante su settori chiave come moda, agroalimentare e meccanica di precisione (“Euronews”, 2025). L’export italiano verso gli Stati Uniti, che nel 2024 ha superato i 70 miliardi di euro, è fortemente concentrato su prodotti ad alto valore aggiunto: vini e alcolici rappresentano il 30% dell’export agroalimentare, mentre la filiera dell’arredamento e del design è responsabile di una quota significativa delle vendite italiane negli USA (Fonte: Euronews, 2025). Secondo Federvini, l’associazione italiana degli esportatori di vino e spiriti, i nuovi dazi potrebbero causare la perdita di fino al 50% della quota di mercato detenuta dai prodotti italiani negli Stati Uniti, un impatto devastante per un settore che vale complessivamente oltre 2 miliardi di euro. La logica protezionista di Trump, basata sul concetto di "America First", non prevede distinzioni bilaterali tra Italia e Stati Uniti: le tariffe sono applicate a livello di Unione Europea, impedendo all’Italia di negoziare eccezioni o deroghe nonostante i buoni rapporti diplomatici tra Giorgia Meloni e Trump (“Euronews”, 2025). Questo significa che le trattative commerciali e le eventuali ritorsioni da parte europea dipendono da decisioni comunitarie, rendendo l’Italia particolarmente vulnerabile, soprattutto considerando il peso dell’export italiano verso gli USA rispetto ad altri partner europei. Un altro effetto collaterale riguarda la competitività internazionale del Made in Italy. Le tariffe rendono i prodotti italiani più costosi rispetto ai concorrenti interni e internazionali, favorendo la diffusione di prodotti di imitazione (il cosiddetto Italian Sounding) che sottraggono ulteriori quote di mercato ai prodotti autentici. Questo fenomeno, già stimato in 100 miliardi di euro all’anno di falso Made in Italy, è destinato a esplodere ulteriormente in un contesto in cui i prodotti originali diventano inaccessibili per i consumatori americani medi (“Sky TG24”, 2025). Il settore automobilistico è altrettanto esposto. Le nuove tariffe su componenti e veicoli prodotti in Europa minacciano direttamente la competitività di colossi come Stellantis, che realizza una parte rilevante della sua produzione in Messico e Canada, ma utilizza componenti provenienti da Italia e Germania. Secondo una stima di “Il Fatto Quotidiano”, Stellantis potrebbe perdere fino a 3,4 miliardi di euro di utili operativi nel 2025 a causa delle tariffe e delle distorsioni nella supply chain nordamericana (“Il Fatto Quotidiano”, 2025). L’effetto moltiplicatore di questa contrazione colpisce anche la subfornitura italiana, che esporta verso le linee produttive nordamericane componenti per motori, elettronica di bordo e materiali speciali. Le regioni italiane più esposte sono Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, dove si concentra la produzione di beni intermedi destinati all’export verso l’America (“Agenda Digitale”, 2025). Il rischio di una guerra commerciale bilaterale tra UE e USA è concreto. Secondo Marco Simoni, direttore dell’Industrial Policy Hub della Luiss ed ex consigliere economico di due presidenti del Consiglio italiani, Trump potrebbe usare i dazi come strumento di pressione politica per ottenere concessioni dalla UE su temi extra-commerciali, come l’aumento delle spese per la difesa o regimi fiscali più favorevoli per le big tech americane (“Euronews”, 2025). In questo scenario, l’Italia rischia di essere doppiamente penalizzata, subendo sia il calo dell’export verso gli USA sia i contraccolpi di eventuali ritorsioni europee verso i beni americani. Nel complesso, i dazi di Trump 2025 non solo minano la competitività immediata del Made in Italy, ma pongono anche le basi per una erosione strutturale della presenza italiana sui mercati nordamericani. Le aziende italiane, soprattutto le PMI del lusso, dell’agroalimentare e della meccanica, non dispongono della capacità finanziaria e logistica per spostare facilmente la produzione in altre aree geografiche, a differenza delle multinazionali tedesche o francesi. Questo significa che molte imprese rischiano semplicemente di perdere l’accesso al mercato americano, con conseguenze devastanti in termini di chiusure, perdita di posti di lavoro e delocalizzazioni forzate (“Corriere della Sera”, 2025). In sintesi, la combinazione di barriere tariffarie, perdita di competitività e paralisi dei negoziati bilaterali trasforma le tariffe di Trump in una minaccia sistemica per l’intero modello export-oriented su cui si basa una larga fetta dell’economia italiana. Il rischio non è solo una contrazione temporanea delle esportazioni, ma una vera e propria esclusione strutturale dai mercati strategici, con effetti a catena su occupazione, investimenti e crescita.
Nina Celli, 6 marzo 2025