L’impatto delle nuove tariffe di Trump 2025 sui prezzi al consumo è uno degli effetti più rilevanti e potenzialmente destabilizzanti della politica commerciale protezionista adottata dalla sua amministrazione. Secondo una recente analisi di S&P Global Ratings (2025), la nuova ondata di dazi del 25% su Canada e Messico e del 20% sui beni cinesi potrebbe determinare un aumento immediato dell’inflazione compreso tra 50 e 70 punti base, traducendosi in un incremento dello 0,5% - 0,7% dei prezzi al consumo già nel corso del 2025. In un contesto in cui l’inflazione americana fatica a rientrare sotto il 3%, questo ulteriore impulso rischia di alimentare aspettative inflazionistiche persistenti, obbligando la Federal Reserve a sospendere i tagli dei tassi previsti e a mantenere una politica monetaria più restrittiva (S&P Global Ratings, 2025). Lo studio evidenzia che i beni di largo consumo — come elettronica, abbigliamento e generi alimentari — saranno particolarmente colpiti, a causa della forte dipendenza dalle importazioni da Messico e Cina. La struttura produttiva nordamericana, fortemente integrata, fa sì che molti prodotti finali americani contengano componenti importate più volte nel processo produttivo. Questo fenomeno, definito “tariff pancaking” da S&P Global, implica che lo stesso componente viene colpito dal dazio ogni volta che attraversa la frontiera, amplificando l’effetto inflattivo (S&P Global Ratings, 2025). Secondo la Federal Reserve Bank di San Francisco, circa l’11% della spesa al consumo statunitense è direttamente riconducibile a prodotti importati. Tale quota, già rilevante, sale significativamente nei settori dell’elettronica, degli elettrodomestici e dell’abbigliamento, dove le importazioni da Cina e Messico coprono oltre il 60% dell’offerta di mercato (FRBSF, 2025). Il rincaro dei prezzi al consumo è dunque inevitabile e direttamente proporzionale alla rigidità delle filiere e alla limitata capacità di sostituzione interna nel breve termine. Particolarmente rilevante è l’impatto previsto sul settore automobilistico. Le analisi di Jefferies Investment Bank, riprese da “NPR” (2025), stimano che il costo medio di un’automobile americana aumenterà di circa 2.700 dollari, pari a un incremento del 6% sul prezzo medio di vendita. Tale aumento è dovuto all’altissima integrazione delle filiere automotive nordamericane, dove componenti prodotti in Messico attraversano la frontiera USA più volte prima di essere assemblati nel veicolo finale. Il settore automobilistico rappresenta il 3,5% del PIL USA, quindi, un effetto a catena di questa portata ha implicazioni macroeconomiche significative (“NPR”, 2025). Il settore energetico subirà impatti simili. Il 24% del petrolio raffinato negli Stati Uniti proviene dal Canada, e oltre l’80% di quel petrolio è destinato al consumo interno americano. Il dazio del 10% sulle importazioni energetiche canadesi si tradurrà in un aumento medio di 7 centesimi per gallone sul prezzo della benzina, con effetti diretti sulla spesa delle famiglie e sui costi di trasporto lungo tutta la filiera distributiva (S&P Global Ratings, 2025). Il costo delle case nuove salirà parallelamente a causa dell’aumento del prezzo del legname canadese, già colpito da precedenti dispute commerciali, aggravando la crisi dell’accessibilità abitativa che colpisce la classe media americana (S&P Global Ratings, 2025). Uno degli aspetti più preoccupanti è la natura regressiva dell’impatto inflattivo. Il Tax Policy Center (2025) calcola che le famiglie nel primo e secondo quintile di reddito subiranno una perdita di potere d’acquisto fino all’1,5% del loro reddito disponibile, mentre le famiglie più ricche vedranno un impatto limitato allo 0,4%. Questa sproporzione è dovuta alla maggiore quota di reddito destinata dai meno abbienti all’acquisto di beni di prima necessità e di prodotti importati a basso costo. In pratica, le tariffe si configurano come una tassazione indiretta regressiva, che colpisce più duramente le fasce vulnerabili, contraddicendo la retorica populista che vorrebbe le politiche commerciali di Trump a tutela della classe lavoratrice (Tax Policy Center, 2025). L’impatto inflattivo delle tariffe non è inoltre facilmente assorbibile dal sistema economico americano. I tentativi di sostituzione delle importazioni con produzione domestica, seppur in corso, richiedono anni di investimenti e riorganizzazioni delle filiere, lasciando i consumatori esposti ai rialzi di prezzo per almeno 3-5 anni (S&P Global Ratings, 2025). Inoltre, la rigidità dei contratti di fornitura e la dipendenza da fornitori specifici rendono difficile una riallocazione rapida delle catene di approvvigionamento senza significativi aumenti di costo. Inoltre, l’aumento dei prezzi al consumo, combinato con il rallentamento dell’economia globale causato dalle tensioni commerciali, genera un effetto “stagflattivo”, ossia una combinazione di crescita debole e inflazione elevata, particolarmente difficile da gestire per la politica monetaria della Federal Reserve. Il rischio concreto, sottolineato da S&P Global Ratings, è che la Fed sia costretta a sospendere i tagli dei tassi previsti nel 2025-2026, prolungando il ciclo di restrizione monetaria e amplificando le difficoltà di accesso al credito per famiglie e imprese (S&P Global Ratings, 2025). Le tariffe di Trump 2025 innescano, quindi, una spirale inflattiva, colpendo direttamente il potere d’acquisto delle famiglie e la competitività delle imprese, senza offrire nel breve termine alternative produttive interne sufficienti a calmierare i prezzi. La combinazione di tariffe, ritorsioni commerciali e rialzo dei tassi d’interesse rischia di produrre un ciclo recessivo che potrebbe vanificare gli stessi obiettivi di rilancio industriale alla base della politica tariffaria.
Nina Celli, 6 marzo 2025