Uno degli argomenti principali contro una riforma drastica dell'ONU è il rischio di una maggiore paralisi decisionale. Attualmente, il Consiglio di Sicurezza già fatica a prendere decisioni rapide ed efficaci a causa dei veti incrociati tra le grandi potenze. Se il numero di membri permanenti venisse aumentato e nuovi paesi ottenessero il diritto di veto, il processo decisionale diventerebbe ancora più complesso e lento. Un esempio concreto di questa problematica è il fallimento dell'ONU nel gestire la crisi siriana. Tra il 2011 e il 2020, più di 16 veti sono stati posti da Russia e Cina su risoluzioni riguardanti la guerra civile siriana, impedendo un'azione efficace. Se nuovi attori con interessi divergenti entrassero nel Consiglio con poteri simili, si moltiplicherebbero le occasioni di blocco, rendendo l'ONU ancora meno funzionale. Un ulteriore problema sarebbe l'armonizzazione delle politiche internazionali. Se venissero introdotti nuovi membri permanenti, ciascuno con il proprio quadro strategico e alleanze regionali, il rischio di divergenze insanabili aumenterebbe. Questo scenario potrebbe trasformare l'ONU in un'arena di scontro geopolitico piuttosto che un organismo in grado di risolvere problemi globali. Attualmente, il Consiglio di Sicurezza è composto da 15 membri, di cui 10 a rotazione con mandati biennali e 5 permanenti con diritto di veto. Un’espansione del numero di membri permanenti porterebbe a un aumento del numero di negoziati necessari per raggiungere un consenso, rallentando ulteriormente la capacità di risposta dell’ONU. Secondo uno studio della Brookings Institution, un Consiglio con più di 20 membri avrebbe enormi difficoltà a prendere decisioni rapide in situazioni di crisi. Un altro aspetto critico riguarda le divergenze tra le nazioni emergenti. Se paesi come India, Brasile e Sudafrica ottenessero seggi permanenti, potrebbero svilupparsi nuove fratture all'interno del Consiglio. L’India e la Cina, ad esempio, hanno forti tensioni territoriali, mentre il Brasile potrebbe non allinearsi con le politiche degli Stati Uniti o dell’Unione Europea. Questa frammentazione potrebbe portare a un Consiglio di Sicurezza più diviso e incapace di agire con coesione. Un ulteriore elemento di preoccupazione riguarda il rischio di politicizzazione delle decisioni. Un Consiglio di Sicurezza più ampio e con più membri con diritto di veto potrebbe tradursi in una maggiore influenza delle alleanze regionali e ideologiche. Ad esempio, paesi come l’Arabia Saudita o la Turchia potrebbero usare il loro potere per promuovere interessi regionali specifici a discapito di un'azione multilaterale equilibrata. Infine, il ritmo della diplomazia internazionale non si adatta a processi decisionali ancora più lenti e macchinosi. Già oggi, alcune risoluzioni critiche impiegano mesi per essere discusse e approvate, come dimostrato dai negoziati sulle sanzioni alla Corea del Nord o sulle missioni di peacekeeping. Con un Consiglio più grande, questo ritardo potrebbe diventare insostenibile, minando ulteriormente la credibilità dell’ONU. Una riforma radicale del Consiglio di Sicurezza potrebbe generare più problemi di quanti ne risolva. Il rischio di paralisi politica, la difficoltà di trovare un consenso tra un numero maggiore di attori e l’aumento delle rivalità geopolitiche rendono questa proposta estremamente problematica. Piuttosto che ampliare drasticamente il Consiglio di Sicurezza, una riforma più prudente potrebbe consistere in misure per limitare l’uso del diritto di veto o in un rafforzamento del ruolo dell’Assemblea Generale come strumento di bilanciamento delle decisioni globali.
Nina Celli, 25 febbraio 2025