Le nazioni del Sud del mondo, in particolare in Africa, America Latina e Asia, chiedono da decenni una maggiore influenza nelle decisioni globali. Attualmente, il sistema delle Nazioni Unite riflette un equilibrio di potere ancorato all'ordine post-bellico del 1945, ignorando la crescita economica e politica di molte nazioni emergenti. Questo divario mina la legittimità dell'ONU e genera insoddisfazione tra i paesi che si sentono esclusi dai processi decisionali internazionali. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, più del 70% della popolazione mondiale vive in paesi che non hanno rappresentanza permanente nel Consiglio di Sicurezza, una disparità che crea frustrazione e sfiducia nei confronti dell'ONU. La crescita di potenze economiche come India, Brasile, Nigeria e Sudafrica ha rafforzato le richieste per una riforma che conceda loro maggiore voce in capitolo. L'India, ad esempio, rappresenta il secondo paese più popoloso al mondo con oltre 1,4 miliardi di abitanti ed è una delle economie a più rapida crescita, ma non ha ancora un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza. Anche l'Africa, con 54 Stati membri nell'ONU, continua a essere l'unico continente senza rappresentanza permanente nel Consiglio. L'Ezulwini Consensus, un documento ufficiale dell'Unione Africana, chiede almeno due seggi permanenti per il continente africano e una maggiore equità nella distribuzione del potere decisionale. Tuttavia, le potenze attuali, tra cui gli Stati Uniti e la Cina, hanno mostrato riluttanza a modificare lo status quo, temendo di perdere il loro controllo sulle dinamiche internazionali. Un altro fattore di squilibrio riguarda il controllo delle istituzioni economiche internazionali, come il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale. Attualmente, i paesi del G7 (Stati Uniti, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone e Regno Unito) detengono una quota sproporzionata di influenza nelle decisioni economiche globali. Un recente studio pubblicato dalla Carnegie Endowment for International Peace evidenzia come i paesi in via di sviluppo ricevano prestiti con condizioni svantaggiose e abbiano scarso potere nelle riforme finanziarie globali. Una riforma dell'ONU potrebbe includere una revisione di questi meccanismi, garantendo una maggiore equità nella governance economica mondiale. Un altro elemento cruciale è il ruolo delle alleanze regionali. L'Unione Africana (UA), l'ASEAN e la Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici (CELAC) stanno acquisendo un'importanza crescente nella gestione delle relazioni internazionali. Tuttavia, l'ONU non ha ancora sviluppato un quadro istituzionale efficace per integrare queste organizzazioni nel processo decisionale globale. Secondo alcuni analisti, una soluzione potrebbe essere la creazione di un Consiglio delle Nazioni Emergenti, che permetta alle nuove potenze economiche di avere un peso maggiore senza stravolgere l'intero sistema delle Nazioni Unite. La mancata rappresentanza delle nazioni emergenti nell'ONU ha portato anche alla nascita di alternative multilaterali. Organizzazioni come i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) e il G20 stanno assumendo ruoli sempre più rilevanti nella politica internazionale, sfidando l'egemonia dell'ONU. Se l'organizzazione non riuscirà a riformarsi per adattarsi alle nuove realtà geopolitiche, rischia di essere progressivamente marginalizzata e sostituita da forum multilaterali più flessibili ed efficaci. Inoltre, la crescente disuguaglianza tra Nord e Sud globale si riflette anche nella gestione delle crisi umanitarie. Secondo l'ONU, oltre 70% degli aiuti umanitari sono gestiti dai paesi sviluppati, mentre le nazioni che ne hanno maggiormente bisogno spesso non hanno un peso significativo nelle decisioni sulle modalità di distribuzione. Il presidente di Barbados, Mia Amor Mottley, ha recentemente chiesto una riforma delle istituzioni finanziarie e umanitarie per garantire una maggiore equità nella gestione degli aiuti e dei finanziamenti ai paesi in via di sviluppo. Un riequilibrio del potere tra Nord e Sud globale non solo migliorerebbe la legittimità dell'ONU, ma potrebbe anche ridurre le tensioni geopolitiche e favorire una cooperazione internazionale più efficace. Un Consiglio di Sicurezza più inclusivo e un maggiore ruolo delle economie emergenti nelle istituzioni globali potrebbero rafforzare il multilateralismo e prevenire conflitti derivanti da ingiustizie economiche e politiche. La necessità di una riforma dell'ONU per riequilibrare il potere globale è sempre più evidente. L'attuale struttura non rappresenta più la realtà geopolitica del XXI secolo e rischia di compromettere la credibilità dell'organizzazione. Un cambiamento significativo non solo migliorerebbe l'efficacia dell'ONU, ma garantirebbe anche una maggiore stabilità e cooperazione internazionale in un mondo sempre più interconnesso.
Nina Celli, 25 febbraio 2025